Il coraggio “semplice” del ribelle
Nell’epoca antieroica che viene chiamata felicemente Modernità, in cui l’unico eroe riconosciuto è la vittima, l’offeso, il malato, il “resiliente”, lo spazio riservato al coraggio viene compresso irrimediabilmente. Dove le categorie preposte alla messa in discussione delle forme sociali, politiche e culturali, che spaziano dagli intellettuali, ai professionisti dell’informazione fino ai sindacati, sono ridotte miserabilmente a elaboratori di sovrastrutture ideologiche che giustificano il potere invece di contrastarlo. Si è ribaltato il paradigma: conservatori anziché oppositori del sistema, come invece ipocritamente si definiscono, i quali, avvalorando la narrazione dominante e tradendo la verità e la giustizia, si ergono a promotori della nuova etica del male minore. Non hanno più a cuore la verità, il buono e il giusto ma solamente ciò che conviene. Subiscono le scelte dall’alto, in un’ottica servilistica, e se chiamati a scegliere lo fanno indirizzandosi verso decisioni di comodo.
Il profilo del nuovo mondo non lascia angoli liberi a narrative controcorrente, le quali sono scoraggiate dalle stesse masse asservite che preferiscono la comodità al vero. Viene preferito di gran lunga il servilismo, che utilitaristicamente produce un interesse, rispetto ad ogni forma di rivalsa, ad una presa di coscienza.
Per opporsi a questo modello distruttivo, che tende ad annullare dubbi e critiche, occorre coltivare un senso di ribellione, di dissenso. È necessario assumere la postura del ribelle che, al contrario di come si vorrebbe che venisse rappresentato, non è un eversivo ma un coraggioso. Il tratto distintivo del vero ribelle è il coraggio. Perché il coraggio è la virtù di chi “ha il cuore” (secondo l’etimologia latina da cui deriva) e il cuore raffigura allegoricamente le cose più sacre e inviolabili che ci appartengono: gli affetti, i principi e i valori, le idee che elevano l’umanità.
Il coraggio non è l’assenza di paura, piuttosto il giudizio che c’è qualcosa di più importante della paura, per il quale vale la pena schierarsi. Il vero ribelle, in sostanza, ritiene che esista il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il vero e il falso, al di là di qualsiasi utilitaristica retorica di relativismo morale.
A volte la lotta è solo un no alle logiche precostituite, è la creazione di spazi liberi in cui crescere insieme a chi ha scelto di svincolarsi dalle narrative contemporanee, perché non si accontenta di stare seduto e buono ad ascoltare senza poter criticare. La ribellione appartiene a chi non si piega, a chi mette a repentaglio tutto anche quando è più comodo non farlo. Perché non sceglie il male minore, ma il bene, il quale non è un principio assoluto e trascendentale ma si concretizza sempre in una scelta pratica di buon senso.
Il vero ribelle è chi lotta con semplicità per la semplicità delle cose, per quanto ancora c’è di umano. È chi non ha paura di mostrare il cuore, con coraggio.
Il suo nome è Claudia, ama così tanto la filosofia che si è laureata pur sapendo che la sua sublime “inutilità” non l’avrebbe portata a nulla di buono sul piano professionale, e anche per questa ragione Pensiero Verticale è divenuta la sua oasi dove poter liberamente filosofeggiare.
Ma c’è dell’altro, ovvero tantissime altre cose inutili e antiscientifiche che venera: la poesia, l’arte e l’astrologia. È un’anima antica, tutta languore e culto delle rovine. È profondamente innamorata del mare e cerca la verità in ogni cosa.