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L’ultima scintilla

| Redazione |

di Valerio Savioli

A volte sembra che il procedere della storia si prenda una pausa, rallenti il suo incedere, quasi che stia trattenendo il fiato per una lunga immersione, per un lungo letargo. Usiamo dare i nomi al presente per cartografarlo. Ciò che ultimamente viene chiamato postumano altro non è che lo stadio terminale e il risultato finale della postdemocrazia. Il velo delle illusioni che viene meno, il gelo della consapevolezza delle cassandre, che possono solo vantare di assistere allo sfacelo dalla prima fila, mentre l’ultimo uomo crolla edificando il Mondo Nuovo, portandosi con sé l’ipocrisia di un sistema sottomesso alla furia prometeica di un tecno-capitale indomito che ora indossa la maschera tecno-sanitaria per gestire e accompagnare la massa di individui verso l’ultima meta. Là dove questi non avranno più nessuna utilità. Risulta quindi assai complesso tirare una riga su una tabula rasa, quasi impossibile trattenere tra le dita la consistenza di una massa che si pretende realizzata esclusivamente nel culto supremo del suo io, quando invece è solo impasto e poltiglia nelle mani di ciò che è costituito nel suo immanente e dogmatico credo che colpisce isolando prima e omologando poi. Bisogna uscire dalla miniera di vetro in cui siamo rinchiusi e reclusi; condannati a minarne i frammenti per specchiarci in eterno. Il riflesso colto in quelle schegge altro non è che l’amore indotto e perverso per le proprie catene.

E’ necessario prendere coscienza che lo svuotamento del significato delle parole, del loro senso e del loro utilizzo è una dialisi scientemente applicata, dose dopo dose, verso l’intossicazione definitiva. E tutto ci fa male. Tutto ci ferisce. Il prossimo ci tradisce, il paese ci svilisce. Rivivono le parole lacrimanti di Robert Brasillach: Il mio paese mi fa male […]n questi empi anni, per i giuramenti non mantenuti, per il suo abbandono e per il destino, e per il grave fardello che grava i suoi passi. […] Il mio paese mi fa male per la sua falsità da schiavi, con i suoi carnefici di ieri e con quelli di oggi. mi fa male col sangue che scorre, il mio paese mi fa male. Quando riuscirà a guarire?

Ma il dolore è il sangue che scorre nell’Ultimo uomo, quello ancora vivo. Ci ritroviamo ora in quel bosco a cui si faceva appello tornare ma ciò che ci circonda non sono alberi ma uomini di paglia che si rivolgono a noi parafrasando “Gli uomini vuoti” di T.S. Eliot:

Siamo gli uomini vuoti. Siamo gli uomini impagliati. Che appoggiano l’un l’altro

La testa piena di paglia. Ahimè!

Le nostre voci secche, quando noi

Insieme mormoriamo

Sono quiete e senza senso

Come vento nell’erba rinsecchita

Infranti gli specchi, è giunto il momento di dar fuoco al vuoto!

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