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La commedia del malato immaginario (o asintomatico)

| Claudia Castaldo |

Non esistono più individui sani che si curano quando sopraggiunge la malattia, esistono ormai solo dei soggetti eternamente e potenzialmente “asintomatici”, cioè mai effettivamente malati che però, in ragione del loro stato incerto, devono sempre certificare di essere sani. La categoria del malato asintomatico, che entra nel lessico medico-sanitario dell’emergenza, è una costruzione linguistica del tutto arbitraria che non ha rimandi con alcun significato reale. Tutti noi ogni giorno potremmo essere malati asintomatici, cioè essere portatori di una malattia che non manifestiamo sintomatologicamente. Il valore linguistico di questo neologismo crea una nuova condizione patologica da collocarsi a cavallo tra quella del sano e quella del malato. 

Occorre tuttavia sottolineare l’ovvio. Difatti o un soggetto è malato o è sano, non si può essere entrambe le cose contemporaneamente; quando si è malati si ha dei sintomi, se non si hanno sintomi si è sani, dunque non malati, e al massimo si può essere portatori sani di qualche malattia, ma certamente non si può ritenere di trovarsi in continuo stato di accertamento rispetto alla propria situazione clinica.

La malattia è da sempre considerata e trattata come una circostanza transitoria, di eccezionalità o accidentalità rispetto alla salute, la quale è al contrario la normalità, cioè lo stato ordinario in cui vivono gli homo sapiens dalla loro comparsa sulla Terra. Ad oggi, il capovolgimento del rapporto salute-malattia promuove una concezione della patologia come prevaricante rispetto alla normalità della salute, pertanto “essere sempre malato (ma senza sintomi)” diviene una consuetudine di vita umana dalla quale ne scaturisce l’assunzione forzosa di comportamenti surreali e grotteschi indirizzati ad inscenare lo spettacolo macabro della malattia, anche quando quest’ultima non è manifesta.

Tale messa in scena presuppone capacità quasi teatrali: sul palco si affrontano da un lato coloro che recitano la parte dei malati immaginari (asintomatici), ossia coloro che sono costantemente potenziali malati, i quali appaiono sempre preoccupati per l’incombere di qualche sintomatologia o per il loro essere il veicolo silente della malattia, e dal lato opposto si situano i loro antagonisti che interpretano il ruolo degli untori, uomini irresponsabili ed egoisti i quali hanno ritenuto sconsideratamente di essere sani (assurdo vero?) e di potersi muovere nel mondo liberamente, non valutando il pericolo di infettare e infettarsi.  

Questa inversione innaturale del legame tra individuo e ambiente ha come conseguenza diretta che il mondo venga percepito dall’uomo in qualità di un regno lugubre e funesto ammorbato e guastato da intemperie e ostacoli che mettono perennemente in pericolo l’individuo. Il malcapitato avendo smarrito “la diritta via” ovvero una visione integrale e realistica di sé si concepisce come bisognoso di continue conferme sul proprio stato di salute. I malati immaginari si muovono tra le fiere infernali cercando di rimanere incontaminati, di non toccare qua e là, di non lasciarsi trascinare in attività peccaminose, nella paura costante che qualche patogeno possa privarli dell’originario e incorrotto stato primitivo di purezza. 

Nel viaggio immaginario in questo luogo angusto che consideriamo inferno e che un tempo era il nostro mondo c’è un girone per tutti i peccatori: gli untori, i complottisti, gli irresponsabili, gli individualisti, i negazionisti, i ’novax’, insomma. Se solo ci fosse un po’ di ragione ad accompagnare il viaggio nell’inferno si potrebbe uscire da quell’antro caliginoso e vedere con i propri occhi il mondo per quello che è, per comprendere che non c’è salvezza alcuna per chi vuole salvo a tutti i costi solo il corpo ma dimentica la salute dell’anima, ovvero per chi sceglie la mera sopravvivenza alla vita vera. 

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