L’INTERVISTA / “Comprendere quella Rivoluzione per riprenderci il futuro”
Con Pietro Cappellari, storico e saggista, sfogliamo idealmente le pagine di “Da Vittorio Veneto alla Marcia su Roma”, l’opera in 4 tomi che rivive, a 100 anni di distanza, i crocevia più importanti della storia italiana degli anni 1919-1922
Con la vittoria del 1918 comincia un cammino ideale (tutto italiano) verso quell’autentico risveglio di coscienza e di ardore patriottico che porterà al nuovo sogno di rinascita nazionale nel 1922. Il volume I del primo tomo di “Da Vittorio Veneto alla Marcia su Roma” ripercorre quel fatale anno 1919. Illustraci in sintesi le principali tappe.
Essenzialmente il 1919 è contraddistinto da sommovimenti popolari di vasta portata, sobillati dal PSI, in vista di una utopica conquista rivoluzionaria del potere. Il 1919 è esclusivamente il “primo anno” di quello che passerà alla storia come Biennio Rosso: una serie impressionante di scioperi, occupazioni di terre, violenze di massa, boicottaggi e pestaggi, di un nuovo ordine che sembrava avanzare in nome del bolscevismo, il cui volto era rappresentato da oltraggiose ed arroganti Guardie Rosse che imponevano la loro legge nelle campagne di mezza Italia. Tutto questo è stato oggi rimosso, per la vulgata antifascista il Biennio Rosso non è mai esistito. Ma questa affermazione, a livello storico, non ha nessun senso. Ovviamente, il 1919 rappresenta anche “altro”, di cui all’epoca – dobbiamo dirlo – poco se ne seppe. La fondazione dei Fasci fu un evento essenzialmente di “nicchia”. Gli stessi fascisti furono piccoli gruppi sparsi in alcune città del Nord Italia. Anche l’occupazione di Fiume di d’Annunzio – sebbene provocò il collasso di numerose unità del Regio Esercito e attirò il fior fior del combattentismo e della gioventù d’Italia – non ebbe ripercussioni politiche nazionali importanti: le elezioni le vinsero i partiti che, non solo negavano i valori scaturiti dalla Grande Guerra, ma che consideravano i dannunziani solo dei militaristi guerrafondai senza futuro. Eppure, la fondazione dei Fasci e l’Impresa di Fiume rappresenteranno il germoglio di una rivoluzione radicale che, due anni dopo, esplose in tutta la sua violenza, novità e determinazione in Italia.
Il 2022 chiude il quadriennio dei centenari, dal 1918 al 1922. Quale senso possiamo riscoprire in un’opera storica tanto monumentale come quella che hai curato?
Ora, io non parlerei di “senso”. Ma di comprensione. L’opera essenzialmente storica serve per conoscere, aprire un dibattito semmai. Il nostro sforzo è stato quello di riscoprire una storia dimenticata, tornare sui luoghi dove il sangue dei giovani italiani fecondò la terra per un più grande avvenire. È stato come riaprire un libro di storia abbandonato da decenni. Trasmettere alle comunità locali il senso della loro storia, la conoscenza di quello che avvenne. Per tramandare, di generazione in generazione, degli esempi.
Qual è il filo rosso che scorre carsicamente lungo gli avvenimenti che l’opera affronta e descrive?
Quello della “rivoluzione nazional-popolare” di cui il fascismo si fece alfiere fin dalla sua fondazione. Il messaggio di grandezza nazionale, l’aspirazione ad una più alta giustizia sociale, il superamento del selvaggio e criminale bolscevismo, del rapace ed ingiusto liberalismo, della fallimentare e corrotta democrazia. Tutto questo è in nuce nel fascismo già a Piazza San Sepolcro, il cui programma – osannato anche dal PCI nel 1936! – venne realizzato, adeguato ai tempi e alle sfide contemporanee, durante il Regime e, ancor più, nella breve stagione della Repubblica Sociale Italiana, dove il messaggio sansepolcrista, l’impostazione diciannovista e, se vogliamo, alla squadrista, tornò alla luce, liberato dai precedenti compromessi di Regime con la corrotta destra nazionale, monarchica, massonica e clericale. Ecco, durante la RSI, ci fu la congiunzione tra passato e futuro, in un chiaro messaggio generazionale ove si tentò di coniugare la grandezza nazionale con il raggiungimento in una vera giustizia sociale.
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