Liberal-comunismo in salsa (neo)statalista
È tornato ad aggirarsi in Italia lo spettro del comunismo, o forse non se n’è mai andato, rinnovandosi e riadattandosi ai tempi attuali con una nuova faccia, anch’essa ipocrita come le precedenti versioni, e portando ancora con sé il suo potere mortifero e nullificante del reale. Una forma di comunismo apparentemente latente e strisciante, non facilmente individualizzabile e riconoscibile come quello fattosi stato in Cina, ma non per questo meno letale perché si insinua negli spazi marci della nostra liberal-democrazia come un verme viscido che divora dall’interno l’ospite inconsapevole. Una versione più blanda e subdola, perfettamente inglobata nel neoliberismo di cui si fa promotore, compatibile con il capitalismo, di cui si faceva vanto d’essere l’alternativa, modernizzata però in salsa statalista per essere più gradita al palato italiano.
Lo statalismo onnipotente italiano è l’erede diretto dell’ideologia comunista, la quale viene conseguita in modi impliciti per risultare più digeribile rispetto ai regimi dichiaratisi apertamente comunisti, dei quali però conserva gli intenti diabolici: l’egualitarismo al ribasso, la collettività sopra l’individuo ad ogni costo, l’ingerenza statale in ogni dinamica economico-sociale, la rieducazione forzata di massa che penalizza la natura dell’uomo in nome di un presunto “bene superiore”, che non è altro che il bene di pochi a scapito di molti imposto forzatamente per il falso bene di tutti.
La mania di controllo dello Stato sulla vita dei cittadini si sdoppia in due forme, sul versante economico si traduce in politiche basate sul modello assistenziale-sussidiale e sul fronte socio-culturale in un addomesticamento delle menti e dei corpi nell’ottica dell’omologazione di massa e della sudditanza.
L’invasione di campo dello Stato nella vita economica dei suoi cittadini rispecchia le leggi dell’ordoliberismo, ossia si propone il fine di disciplinare l’impresa individuale per evitare l’emergere di poli di potere privati troppo influenti, tuttavia questo arginamento preventivo posto all’iniziativa privata è sfociato in una pressante e invadente ingerenza statale. Lo Stato, infatti, tassa pesantemente i propri cittadini non offrendo in cambio servizi corrispondenti, in sostanza l’offerta statale risulta inadeguata, di bassa qualità e sempre in ritardo, producendo un’ingiusta asimmetria tra tasse e servizi a danno dei contribuenti che si trovano costretti a spendere ulteriori somme di denaro per ottenere prestazioni che in realtà dovrebbero esserli garantite (esempi lampanti possono essere tratti dall’ambito della sanità).
Talvolta lo Stato non solo non apporta migliorie a questo sistema farraginoso, ma non si assume neppure le responsabilità derivanti dal mancato assolvimento dei propri obblighi nel tentativo quindi di nascondere sotto il tappeto i propri errori mediante la concessione sistematica di sussidi e bonus, tra gli ultimi il “bonus 200“. I sussidi statali non hanno alcuna utilità fuorché quella di creare nel cittadino la falsa credenza che bastino queste briciole a risollevare la situazione economica, nell’illusione mendace che somme irrisorie possano sopperire e far dimenticare anni di tagli sul lavoro, sugli stipendi, di inefficienze in ogni settore, di sperpero di denaro e di tutte le lacune immense perpetrate a danno dei cittadini.
Queste forme imbarazzanti di assistenzialismo non combattono certamente la povertà, né forniscono un incentivo al lavoro, il quale invece è l’unico mezzo che permetterebbe al cittadino di sorreggersi sulle proprie gambe dignitosamente, ma servono solo ad insinuare nell’uomo la mentalità del bisogno, dell’aiuto, della subordinazione nei confronti dello Stato, in altre parole tali manovre spolpano le risorse economiche e mentali dei cittadini attivi e operosi per renderli dipendenti dai sussidi, di modo che, una volta derubati dei loro guadagni, alla lunga rientreranno tra le schiere dei bisognosi e si troveranno costretti a richiedere assistenza. La ricchezza sarà in mano a pochissimi e da questi gestita ed elargita, secondo i capricci del momento, sottoforma di elemosine concesse a sudditi inebetiti.
Il sogno tetro del comunismo, chiamato indegnamente utopia, si sta via via concretizzando: saremo tutti uguali nel non avere niente, tutti ugualmente poveri e sfruttati.
Il suo nome è Claudia, ama così tanto la filosofia che si è laureata pur sapendo che la sua sublime “inutilità” non l’avrebbe portata a nulla di buono sul piano professionale, e anche per questa ragione Pensiero Verticale è divenuta la sua oasi dove poter liberamente filosofeggiare.
Ma c’è dell’altro, ovvero tantissime altre cose inutili e antiscientifiche che venera: la poesia, l’arte e l’astrologia. È un’anima antica, tutta languore e culto delle rovine. È profondamente innamorata del mare e cerca la verità in ogni cosa.