Monaldo, il Leopardi dimenticato / parte I
Nel tedio delle lezioni scolastiche, quando si arriva a parlare di Giacomo Leopardi, spesso fa capolino il nome del padre, il conte Monaldo. Per generazioni di studenti mortalmente annoiati, questo personaggio è stato relegato nel ruolo del cattivo, un padre ottuso e oppressivo, che ha tenuto il figlio quasi segregato, obbligandolo a stare sui libri fino a renderlo gobbo. È il destino che capita a tutti gli esponenti di una cultura altra rispetto a quella che la scuola, fabbrica di sudditi della modernità, è deputata a inculcare nei malcapitati studenti.
Monaldo Leopardi è, infatti, assieme a Joseph de Maistre, padre Taparelli d’Azeglio e pochi altri, uno degli esponenti italiani del pensiero controrivoluzionario.
Monaldo Leopardi e le insorgenze
Come tutti i controrivoluzionari, era tutto fuorché il parruccone coperto di ragnatele per cui è stato fatto passare. Nel 1797, a ventuno anni, mandato a monte il matrimonio combinato dalla famiglia, sposò la ragazza di cui era innamorato, Adelaide Antici. La famiglia, contrariata da quell’unione con una donna priva di dote adeguata, non presenziò alla cerimonia. La felice unione fu allietata da ben cinque figli, il primo dei quali fu l’illustre Giacomo. La famiglia Leopardi aveva una tradizione di vicinanza al popolo, a favore del quale compiva molte opere di carità, e presso il quale godeva di grande stima. Lo si vide nel 1798, durante l’occupazione francese. Un gruppo di insorgenti cacciò gli occupanti da Recanati e proclamò Monaldo governatore della città. Quest’ultimo si mostrò assai riluttante: pur essendo un devoto cattolico e un suddito fedele del Papa Re, non simpatizzava per gli insorgenti, che definiva “briganti”, ed era perfettamente cosciente del carattere effimero e mal organizzato delle insorgenze. Tuttavia, dando prova di un’attitudine moderata e pragmatica, accettò l’incarico, adoperandosi soprattutto per placare gli animi nella comunità ed impedire vendette e regolamenti di conti contro coloro che si erano compromessi con i francesi. Questo non gli evitò, al ritorno degli occupanti, la condanna a morte, che non fu eseguita grazie all’intercessione del cognato, Carlo Antici.
Monaldo Leopardi e la cultura
Dopo quell’infelice esperienza, Monaldo si diede alla sua grande passione: la cultura. I testi scolastici che indugiano su Giacomo Leopardi, ragazzo prodigio intento a studiare alacremente sui libri della sterminata biblioteca della casa in cui viveva, curiosamente tralasciano il fatto che quella straordinaria raccolta di volumi non si era materializzata da sola, ma grazie all’alacre impegno di Monaldo. In un’epoca in cui i libri erano un bene di lusso, Monaldo dovette spendere grosse somme di denaro per quella raccolta, mettendo a repentaglio le finanze famigliari, la cui amministrazione passò alla più oculata moglie. Numerose delle opere conservate nella biblioteca, inoltre, erano all’Indice dei libri proibiti, e Monaldo chiese e ottenne la dispensa papale per poterli possedere e far studiare ai figli. Già questo basterebbe per smontare l’immagine di rozzo retrogrado che i professori spacciano agli studenti.
Nel 1810 la biblioteca fu donata alla cittadinanza recanatese, segno di sensibilità per la diffusione della cultura e per l’importanza dell’istruzione.
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