Monaldo, il Leopardi dimenticato / parte II
La politica
Con la Restaurazione Monaldo ritornò alla politica. Fu membro del governo provinciale di Macerata, ma sarebbe durato solo quattro mesi. Si oppose, infatti, alla volontà di epurazione del legato pontificio, che avrebbe voluto smantellare tutte le istituzioni introdotte dai francesi e destituire dalle loro cariche tutti gli uomini del passato regime. Il conte recanatese anche qui mostrò la propria propensione all’equilibrio, ritenendo che fosse il momento di una conciliazione tra le fazioni e non di un inasprimento delle divisioni, e cercò di far si che almeno gli uomini giudicati migliori potessero restare nella pubblica amministrazione. Esasperato dai continui contrasti, si dimise.
Per due volte (dal 1816 al 1819 e dal 1823 al 1826) fu gonfaloniere (vale a dire sindaco) di Recanati, carica a cui il Nostro, convinto sostenitore delle autonomie locali, tenne particolarmente e nella sua azione amministrativa si può vedere tutta la sua modernità.
Fece costruire strade e ospedali, introdusse la pubblica illuminazione, stimolò l’insediamento di industrie per la lavorazione della canapa, e assunse misure a sostegno dei meno abbienti, cui durante la carestia del 1816-17 fece distribuire i medicinali gratuitamente.
Fu molto attento all’incentivazione dell’occupazione sia maschile (aiutata dalle opere pubbliche da lui promosse) sia femminile (l’industria della canapa occupava prevalentemente donne). A questa attenzione per il lavoro si collega la sua posizione sul progresso della meccanica: favorevole alla costruzione di ferrovie e all’uso della macchina a vapore, era altresì preoccupato dei possibili effetti negativi della meccanizzazione del lavoro sull’occupazione, anche in questo rivelando una sensibilità tutt’altro che rivolta all’indietro.
In linea con quanto detto più sopra, fu molto attento alla promozione degli studi e della attività teatrali, convinto che la cultura fosse motore di prosperità. Progettò perfino di aprire a Recanati un’università, progetto poi mai realizzato. Ciliegina sulla torta, introdusse e rese obbligatorio a Recanati il vaccino antivaioloso, dopo averlo fatto somministrare a se stesso e ai propri figli.
Questa sua alacre azione amministrativa gli valse un destino non molto diverso da quello di Joseph de Maistre: anche Monaldo Leopardi, infatti, si trovò ad essere guardato con sospetto da quel regime pontificio di cui era fedelissimo suddito. Da Roma meditarono il modo di toglierlo di mezzo: arrivarono accuse di amministrare in modo personalistico e venne messo sotto inchiesta per presunti illeciti di cui fu in seguito dimostrata la totale inesistenza.
In occasione dei moti del 1831, entrò nel comitato provvisorio governativo nato da Recanati, pur chiarendo di non condividere gli ideali rivoluzionari. L’intento era quello di svolgere un ruolo di mediazione, evitando il radicalizzarsi del governo rivoluzionario e, per quanto possibile, la compromissione dell’ordine a cui era sempre stato fedele. Terminata quell’esperienza, ebbe fine la sua carriera politica. Iniziò, però, la sua intensa attività pubblicistica.
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