L’ultima “sacra pugna” del politicamente corretto
Via il numero 88 dalle maglie del calcio italiano. La richiesta è arrivata di recente da Milena Santerini, coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo presso il Consiglio dei ministri. L’obiettivo della proposta, avanzata col supporto della Anti-Defamation League (un’organizzazione non governativa internazionale ebraica con sede negli Stati Uniti), è quello di evitare la “propaganda a rischio di illegalità” che il numero 88 porterebbe con sé per “chiari riferimenti all’ideologia neonazista“, alludendo al saluto – dall’ottava lettera dell’alfabeto – Heil Hitler .
Ecco che il numero 88 scelto da un giocatore per la sua maglia, magari in omaggio all’anno di nascita o a una persona cara, diventa da un giorno a un altro un richiamo al nazionalsocialismo. Dunque, un fulmine a ciel sereno per vari calciatori che potrebbero essere costretti a cambiare il proprio numero di maglia in nome di un politicamente corretto ormai alla stregua del ridicolo e del surreale. Ma, in realtà, quali episodi più o meno recenti possono giustificare una richiesta simile sulla base della “lotta all’antisemitismo”? Non ce ne sono, ovviamente.
Rimuovere il numero 88 dalle maglie dei calciatori, impedire ad altri di sceglierlo, parlare in riferimento di “ideologia neonazista” ha forse un senso compiuto? E poi, già che ci siamo, perché limitarsi al calcio non vietandolo in tutti gli ambiti della vita sociale? Siamo sicuri che i tifosi non pensino minimamente a collegare il numero di maglia del proprio beniamino in campo a questioni ideologiche. Altrettanto che, con questa richiesta volta a cancellare tali presunti riferimenti, si vogliano accendere polemiche che nulla hanno a che fare col buonsenso. I tifosi vogliono vedere i propri calciatori segnare e far segnare, anche con l’88 sulla schiena. Che alla fine è solo un numero. Con buona pace di tutti.
Nato, cresciuto, vivente in Italia. Coniugando idee e scrittura. Il politicamente corretto non abita qui.