Il tatuaggio come “pratica mistica”. Una risposta a Blondet
Pare si faccia a gara oggi, dentro e fuori il cosiddetto “ambiente”, a (ri)leggere, rivisitandone contenuti e natura, taluni fenomeni culturali (o di costume) aventi il pregio di godere di larghissima diffusione. Sono tesi, nonostante tutto, alquanto stimolanti e senz’altro meritevoli di essere approfondite e confutate in particolare dagli “addetti ai lavori” dei quali mi onoro di figurare.
Una storia la mia, professionale ma non solo, che mi ha portato nel tempo (e sono passati ormai diversi anni!) ad analizzarne le molteplici sfaccettature, le visioni e le vicende incise su pelle, gli intrecci spirituali da essa rappresentati. Da cattolico, e peccatore quale sono, ho studiato origini e tesi della “questione” legati alla fede religiosa. Nel suo pezzo del 20 agosto pubblicato sul suo blog, Maurizio Blondet ricorda giustamente come nel Levitico (19,28), la Bibbia esprima con chiarezza: “Non farete incisioni nella vostra carne, ne farete tatuaggi su di voi”. Inquadrare il contesto storico entro il quale vennero scolpite le parole appena citate ci porterebbe comprensibilmente troppo lontano, nè credo porterebbe rilevante interesse all’oggetto del nostro dibattere. Non si può però ignorare l’importanza del fenomeno del marchio cristiano nelle catacombe, durante le grandi ere delle persecuzioni. Vi sono addirittura tradizioni secolari, come quella dei marchi lauretani (1400 circa), dove pellegrini e anche monaci si marchiavano con simboli cristiani, successivamente “trasferiti” in terra santa e nelle chiese orientali. Così come nello studio della scienza demonologica e della pratica dell’esorcismo vi sono altresì numerosi riferimenti all’usanza del tatuaggio.
Citare in modo sommario e in fondo vago il Libro dei Libri a sostegno di una qualsivoglia tesi, oltre a peccare di presunzione e faciloneria, rischia di far imbattere l’incauto commentatore nella violazione di una suprema condizione, necessaria per ogni buon cristiano: l’esercizio del dubbio. Una pratica che certo non ha mai fatto difetto a Blondet in fatto di analisi politiche e osservazione del reale. Lo stesso esercizio del dubbio che mi porta, oltretutto, a considerare l’intrinseca contraddittorietà di alcuni passaggi storici contenuti nei testi divinamente ispirati. Nel Vangelo, unico testo sacro vergato da testimoni oculari e santi, non soltanto quindi “divinamente ispirato”, vi sono parti interessanti, legate in particolare alle scandalose accuse propugnate da rabbini e farisei nei confronti di Cristo reo, a loro dire, di non osservare i precetti delle Sacre Scritture.
Tengo a citare un passaggio a mio avviso parecchio significativo a riguardo: “Ben profetizzò Isaia di voi, ipocriti, com’è scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me. Invano mi rendono il loro culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini.” (Marco, 7:6-7). E poi ancora: “Non c’è nulla fuori dall’uomo che entrando in lui possa contaminarlo; sono le cose che escono dall’uomo quelle che contaminano l’uomo.” (Marco, 7:15).
Ma torniamo alla nostra “sacra pugna”. Per quella che ritengo essere una missione prima che una semplice professione, il tatuaggio rappresenta una particolare pratica mistica capace di legare un uomo ad un linguaggio di natura esoterica, dentro il quale a celarsi sono identità, sofferenze, storie, più vite. Un tatuaggio fatto per essere a Dio consacrato, può rivelarsi certo più apprezzato rispetto a una carezza o a un atto di benevolenza. Ogni singolo atto di amore e sofferenza che ho avuto l’onore di poter “raccontare” sulla pelle di chi mi ha concesso di esserne il silenzioso traduttore, funge da concreta testimonianza di tutto ciò. Poichè, se per un non cristiano il minor peccato commesso sia quello di tatuarsi, per un cristiano a contare veramente dinanzi a Dio, più che la limpidità delle pelle, è la limpidità dell’anima.