Nuova Normalità Linguisticamente Corretta
Si sente parlare oramai dappertutto di una imminente crisi energetica. C’è chi prevede un’ennesima debacle economico-finanziaria e chi è ancora terrorizzato da un ritorno all’emergenza sanitaria. Tuttavia, si sta pur sempre parlando di percezioni negative, o meglio, si sta creando all’interno della propria mente un problema che attualmente non c’è.
Eppure nella nostra società vi è una crisi ampiamente avviata che sta pregiudicando fortemente il modo di vivere degli italiani: quella linguistica. Come disse Nanni Moretti: “Le parole sono importanti!” e sappiamo bene che queste regolano i rapporti di qualsivoglia natura siano essi sociali, politici, economici o sanitari mediante l’utilizzo di appositi linguaggi. Questi ultimi adempiono a determinate funzioni come quelle di informare, persuadere, screditare o supportare. Per ottenere ciò si può ricorrere a diversi artifici linguistici o figure retoriche. Chiaramente i canali utilizzati sono quelli di massa ossia TV, radio, giornali e reti sociali.
Il periodo di emergenza sanitaria appena trascorso può essere definito come una straordinaria prova tecnica di esercitazione alla manipolazione linguistica. In Italia sin dall’approdo del virus si sono susseguiti anglicismi e metafore a non finire che hanno determinato una comunicazione a senso unico infarcita di trucchi di ingegneria linguistica e hanno privato l’intera popolazione della libertà di gestire la propria vita nell’epoca della Nuova Normalità.
L’instaurazione del clima di paura e di confusione è sancita da un linguaggio spudoratamente bellico incentrato sulla “guerra” che vede contrapposte le forze del bene rappresentate da medici e infermieri impiegati “in trincea” o “in prima linea” contro un virus che ha le sembianze di un “assassino” e “miete vittime”. Ne sono conseguite misure tanto drastiche da limitare i diritti fondamentali della persona, suddividendo ogni area del nostro Paese in “zone” e autorizzando esclusivamente ingressi “contingentati” al fine di evitare “assembramenti”.
A rendere maggiormente oscura questa neolingua è stato l’apporto di anglicismi volti a destabilizzare ulteriormente la popolazione. Due esempi su tutti sono i termini lockdown e smart working: nel primo caso si è voluta occultare la vera natura di una delle misure più restrittive su scala nazionale applicate finora ossia il confinamento all’interno della propria abitazione senza contatti con il mondo esterno. Dopotutto, si sa, parlare in inglese “fa figo” e torna utile soprattutto in queste dinamiche. Il secondo caso tratta invece di un anglicismo non solo inutile ma soprattutto sbagliato: l’espressione smart working, infatti, utilizzata per descrivere la necessità di lavorare da remoto, non designa assolutamente nulla di intelligente e può essere sostituita da equivalenti in italiano quali ‘telelavoro’ o ‘lavoro agile’; inoltre, udite udite, tale termine risulta altrettanto inappropriato nella lingua inglese, dove esistono le espressioni remote working e telecommuting.
Insomma, ci si sta preparando a cambiamenti di scenari dove l’utente finale non avrà la benché minima voce in capitolo, trascurando ciò che scandisce la vita sociale di ognuno di noi. La consapevolezza di conoscere la propria lingua e i relativi linguaggi rappresenta il primo passo verso il riscatto sociale, evitando così le trappole di una comunicazione manipolatoria frutto di un accurato lavoro di ingegneria linguistica.
Analizza i linguaggi specialistici e i loro mutamenti nella società attuale scoprendone dei risvolti insoliti, scomodi, irriverenti. Scrive su tematiche di attualità poco trattate ma non meno interessanti di quelle quotidianamente propinate.