La solitudine del moderno occidentale
L’avanzata del deserto di sterilità etica e spirituale da cui veniamo travolti, nella società più annichilita della storia umana, scoperchia l’inganno dell’individualità: l’uomo è stato risucchiato dal e nel proprio ombelico, un abisso oscuro di soggettivismo straripante fatto di personalismi e deliri di onnipotenza, in cui l’uomo è metro e misura di tutte le cose. Da questa posizione contorta di ripiegamento su sé stesso, l’individuo osserva il mondo con gli occhi rivolti sempre e solo al proprio ego, centro assoluto da cui si propagano le relazioni di uso e consumo con la realtà circostante. Lo slancio vitale e ideale di questo essere egoico è direttamente proporzionale alla bassezza morale del suo tempo, tutto indaffarato in battaglie di facciata che coinvolgono unicamente la sfera privata e sentimentale-personale del singolo, elevate a problemi prioritari e improrogabili di portata nazionale.
L’attenzione sociale, cioè l’impegno individuale della massa, è totalmente assorbita dalla dimensione affettiva e sessuale delle persone, che si accapigliano per difendere i generi sessuali non ancora riconosciuti dal codice civile, almeno fino a quando non debbono lamentarsi per l’assurdità delle divisioni dei gabinetti in femminili e maschili che potrebbero offendere la sensibilità di chi non ha ancora scelto il suo genere.
Questa concentrazione estenuante verso il singolo inteso come entità isolata e dissociata dal mondo circostante, che trascorre le sue giornate immerso nella magia del suo mondo interiore, contemplando anche i più piccoli cambiamenti di umore e trasformandoli in disagi psicologici, trastullandosi tra una patologia di moda e una metamorfosi sessuale, è la cifra della direzione intrapresa dalla società che ha rinunciato alle discussioni riguardanti gli aspetti strutturali dell’essere umano e della collettività. Le sorti della propria intimità sono divenuti eventi da prima pagina di giornale.
Il soggettivismo occidentale è la fase culminante dell’epoca controversa del “dirittismo” in cui ci troviamo, nella quale prende sempre più piede la tendenza al raggiungimento di maggiori “diritti” come simboli di progresso e libertà. Il limite costitutivo di questo “dirittismo” sta proprio nel voler trasformare in diritto, in norma giuridica, ogni richiesta personale, senza che tale diritto si rispecchi in un corrispettivo dovere. Padroneggia, quindi, la pretesa dell’autodeterminazione assoluta e illimitata dell’individuo singolarizzato, elevata a verità suprema e incontestabile, che viene assunta come fondamento dell’esistenza umana e di conseguenza meritevole di tutela giuridica e sociale. L’individuo, vivendo la rovinosa disgregazione dei legami comunitari elementari e imprescindibili che avrebbero concorso alla costruzione sana di un’identità equilibrata, si arma di diritti che invoca per realizzare i propri scopi individuali e intimi.
Desideri, vizi, e capricci rientrano a pieno titolo tra i nuovi diritti soggettivi, i quali riflettono il nuovo paradigma di riferimento dell’uomo assoggettato all’arbitrio della sua volontà. L’autodeterminazione del singolo coincide non più con il diventare ciò che si è, ossia la realizzazione della propria natura, ma con la possibilità di diventare ciò che si vuole cambiando a piacimento identità. Il diritto come strumento per perseguire una giustizia che tiene conto del corpo sociale e del suo sviluppo culturale, nato per risolvere le controversie umane ed evitare lo strapotere del potente a scapito del debole, si libera dal vincolo della cornice morale e diventa il mezzo utilizzato per obbligare la società ad assecondare ogni momento di confusione interiore e avverare ogni volizione.
Nell’anarchia delle volontà autocelebrative che sgomitano per affermarsi, vi è una proliferazione di leggi che mirano unicamente alla dissolvenza della struttura sociale e morale dell’uomo, il quale non è più motivato ad unirsi agli altri né a creare le comunità in cui dovrebbe compiere la propria intima. Nichilismo sociale e giuridico convergono nel disfacimento totale dell’umano come essere comunitario, al fine di mortificarlo e gettarlo nel baratro dei suoi appetiti contingenti e volubili. La bolla di solitudine in cui è rimasto intrappolato genera l’allucinazione della sua individualità isolata e lo illude che sia sufficiente esternare ogni intimo turbamento dell’anima per essere felice o libero.
Il suo nome è Claudia, ama così tanto la filosofia che si è laureata pur sapendo che la sua sublime “inutilità” non l’avrebbe portata a nulla di buono sul piano professionale, e anche per questa ragione Pensiero Verticale è divenuta la sua oasi dove poter liberamente filosofeggiare.
Ma c’è dell’altro, ovvero tantissime altre cose inutili e antiscientifiche che venera: la poesia, l’arte e l’astrologia. È un’anima antica, tutta languore e culto delle rovine. È profondamente innamorata del mare e cerca la verità in ogni cosa.