“Tutti i vivi all’assalto!”. A 80 anni da Nikolajewka
Affinchè le giovani generazioni che ricercano il senso della Nazione possano trovarlo anche nell’esempio degli Eroi che in Russia tennero in alto il vessillo Tricolore.
La battaglia di Nikolaevka (la grafia Nikolajewka, che si trova spesso nei testi, deriva dalla traslitterazione tedesca della lingua russa), combattuta il 26 gennaio 1943, fu uno degli scontri più importanti durante il caotico ripiegamento delle residue forze dell’Asse nella parte meridionale del fronte orientale durante la seconda guerra mondiale, a seguito del crollo del fronte sul Don dopo la grande offensiva dell’Armata Rossa iniziata il 12 gennaio 1943 (offensiva Ostrogorsk-Rossosc).
Gli ultimi resti delle forze italo-tedesche-ungheresi, provate, oltre che dai combattimenti, dal gelido inverno russo, si ritrovarono ad affrontare alcuni reparti dell’Armata Rossa, asserragliatisi nel villaggio di Nikolaevka per bloccare la fuga dalla grande sacca del Don: nel corso dei mesi precedenti, le forze sovietiche avevano già accerchiato la 6ª Armata tedesca a Stalingrado (operazione Urano) e sbaragliato completamente le armate rumene e gran parte dell’8ª Armata (operazione Piccolo Saturno), aprendo grandi varchi nelle precarie linee difensive nemiche.
Già dalle prime ore del mattino, la colonna formata dalle truppe italiane in ritirata, cui erano aggregati diversi reparti delle altre potenze dell’Asse (specialmente tedeschi e ungheresi), venne fatta oggetto di un bombardamento da parte di quattro aerei dell’Armata Rossa.
Alla Tridentina, unica delle divisioni italiane ancora in grado di combattere, fu assegnato il compito di iniziare l’assalto al villaggio. Particolarmente significative durante questo attacco furono le azioni dei Battaglioni “Vestone”, “Verona”, “Valchiese” e “Tirano”. Malgrado lo sbandamento che truppe in ritirata avrebbero dovuto avere, gli italiani riuscirono a sostenere l’attacco dei sovietici maggiormente dotati di armi pesanti ed artiglieria.
In serata si unirono alle forze all’attacco i battaglioni “Edolo” e “Valcamonica” e gli uomini della Tridentina, guidati dal generale Luigi Reverberi, riuscendo ad aprire un varco fra le linee sovietiche grazie all’impiego dell’unico carro armato tedesco ancora utilizzabile ed alla disperata lotta per sfuggire all’accerchiamento.
Dalla motivazione della medaglia d’oro al valor militare conferita a Reverberi per il suo comportamento in questa battaglia si legge:
“Alla testa di un manipolo di animosi, balza su un carro armato e si lancia leoninamente, nella furia della rabbiosa reazione nemica, sull’ostacolo, incitando con la voce e il gesto la colonna che, elettrizzata dall’esempio eroico, lo segue entusiasticamente a valanga coronando con una fulgida vittoria il successo della giornata ed il felice compimento del movimento. Esempio luminoso di generosa offerta, eletta coscienza di capo, eroico valore di soldato.”
Le perdite italiane furono altissime, nonostante ciò la battaglia rappresentò un successo poiché le truppe dell’Asse, pur decimate e completamente disorganizzate, riuscirono a raggiungere Shebekino il 31 gennaio 1943, località al di fuori della “tenaglia” russa. Il 16 gennaio 1943, giorno di inizio della ritirata, il Corpo d’Armata Alpino contava 61.155 uomini. Dopo la battaglia di Nikolajewka si contarono 13.420 uomini usciti dalla sacca, più altri 7.500 feriti o congelati. Circa 40.000 uomini rimasero indietro, morti nella neve, dispersi o catturati. Migliaia di soldati vennero presi prigionieri durante la ritirata e radunati dai sovietici in vari campi. Uno dei più tristemente noti fu quello di Rada, nei pressi della città di Tambov. Solo una percentuale minima di questi prigionieri farà ritorno in Italia a partire dal 1945.
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