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Il cinema è morto, viva il cinema. Agonia della moderna società

| Doroteo |

Il panorama cinematografico nel nostro paese è sempre più desolante. La funzione sociale del cinema negli ultimi anni lascia sempre più a desiderare. Infinite copie di copie ciclostilate senza alcun senso, le quali rappresentano la decadenza di una società borghese senza più fantasia. Ambientazioni e personaggi stereotipati con messaggi universali insignificanti da trasmettere. La rappresentazione di una società agonizzante che gode della sua distruzione, come quei video divertenti dove un malcapitato qualsiasi si procura, attraverso la propria goffaggine, del dolore fisico. Senz’altro possono far sorridere, ma dal momento in cui procurano del piacere anche a coloro i quali ne sono protagonisti rappresentano un grosso problema.

Una volta la funzione del grande schermo era quella di educare, denunciare e provocare reazioni nel pubblico. Ora nella migliore delle ipotesi ci dona qualche sbadiglio o peggio la disintegrazione delle gonadi. Pensiamo ad esempio ai grandi capolavori pasoliniani. Una porzione di società completamente ignorata che trovava il proprio riscatto nella rappresentazione di uno spaccato di vita. Persino le commedie oltre alla loro funzione naturale, cioè quella di divertire, creavano degli spunti riflessivi di livello. Il risultato di tutto questo non potrà che essere quello che ci si presenta già nostro malgrado davanti agli occhi: una massa incolta di zombie che scimmiottano personaggi incolti, ma che hanno deciso di monetizzare la loro insipienza. “Brutti, sporchi e cattivi” non è più il titolo di un capolavoro del maestro Ettore Scola, ma la rappresentazione plastica della nuova società.

Considerato questo ciò non possiamo che provare una profonda invidia per quell’Italia che fu. Una società in movimento che nonostante le sue contraddizioni, giocava un ruolo fondamentale nel panorama culturale mondiale. Una sorta di frenesia di raccontarsi portando alla luce vizi e virtù di un popolo straordinario. L’arte dell’arrangiarsi che tanto celebri ci ha resi al mondo, altro non è che il sintomo di un intelletto superiore. La straordinaria semplicità di chi è consapevole dei propri limiti trasformandoli in punti di forza, in un vero e proprio vanto. Quella era la vera essenza dell’italianità. Una nazione risorta dalle proprie macerie e lanciata verso il futuro. Capace di partorire i migliori letterati e cineasti del dopoguerra. Nessuno avrebbe potuto mai immaginare quanto sarebbe stato triste il suo destino. Una classe dirigente meschina ed impreparata che ha naturalmente generato una società tale e quale ad essa, così da non doversi vergognare dinnanzi a questa. Questo sproloquio, molti di voi lo avranno già capito, non è altro che una profonda nostalgia per qualcosa che nostro malgrado mai più rivedremo. Il passato, come insegnano i grandi poeti, ci pare sempre più dolce del presente ed il ritorno alla realtà ci richiama ai nostri ardui compiti. Ci pare però romantico questo “dolce naufragar” in un volo pindarico verso alte vette, senza che la campana di pascoliana memoria ci riporti indietro.

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