Non dimenticare, non tollerare, non rassegnarsi
Intitolare un pezzo con tre negazioni non è cosa buona e giusta. Nemmeno tanto simpatico, aggiungeremmo, in quanto pare ispirato da volontà di distruzione e non già di edificazione, da rabbia e non già da spirito propositivo. Edificazione e spirito propositivo, proprio gli elementi più necessari, anzi obbligatori, con i quali continuare il difficoltoso cammino nell’era del disfacimento e della tentazione demoniaca mai così forte e presente nella storia degli uomini. Abbiamo il dovere morale di andare avanti, procedendo lungo la strada che i valori per i quali ci batteremmo fino all’estremo sacrificio ci illuminano anche nell’oscurità più fitta. Ma là dove c’è l’uomo, integrale e centro dell’universo, c’è la memoria, dove il guardare innanzi è sorretto in ogni suo battito di ciglia dal guardarsi a ritroso, traendo insegnamento e monito per non mai abbassare la testa nei giorni che verranno.
Troppe ne abbiamo viste, troppe ce ne hanno fatte passare in questo triennio pandemico. Troppi torti, troppe offese, capaci però, come soltanto alcune scosse telluriche sono capaci di determinare, di mutare radicalmente il volto e l’anima di tanti (sempre però troppo pochi), portando a compimento processi interiori in atto da tempo, che attendevano solo l’innesco per poter esplodere. Per sete di verità e ansia di giustizia non è possibile dimenticare ciò che abbiamo vissuto, i sentimenti e la progressiva presa di coscienza che ha modificato il nostro intendimento esistenziale.
Non avremmo mai pensato di subire la prigione domiciliare, di uscire di casa come un evaso con in tasca la giustificazione facendo sapere a polizia e capitreno dove stessimo andando e perchè. Non avremmo mai pensato di non poter lavorare senza l’attestato di avvenuta vaccinazione, facendo a gara con colleghi e amici su quante dosi avessimo già fatto. Non immaginavamo di doverci separare da parenti e amici e di trovare tra loro i più insidiosi dei nemici: delatori e spie, in caso i nostri comportamenti non fossero quelli ufficialmente prescritti. Non avremmo mai pensato, in vita nostra, di dover esibire un cartiglio per bere un caffè al bar, prendere il bus o un treno, allenarci in palestra o assistere a uno spettacolo teatrale. Non avremmo mai immaginato l’accanimento feroce e inumano contro bambini e ragazzi, colpevoli di essere bambini e ragazzi e di fare cose da bambini e ragazzi. Li hanno isolati e rinchiusi, svuotando loro il cervello e mandandolo poi al macero senza troppa compassione.
Hanno denominato “green pass” una nuova forma di lasciapassare per poter fare tutto. Verde come il semaforo, a simboleggiare un tempo limitato di libertà, che diventa giallo, nel quale il tempo e la libertà si assottigliano, e poi rosso, divieto totale e stop al movimento che è vita. Quel colore, green, in nome del quale ha già preso il via la nuova emergenza costruita ad arte, quella ambientale e climatica, e sotto cui culto prende via via forma l’uomo macchina del tempo futuro. Non possiamo dimenticare la violenza di stato, lo stupro delle più elementari norme giuridiche fondamento del vivere civile, la compattezza repressiva di un intero apparato politico, giudiziario, mediatico al servizio dell’unica verità accettata e veicolata. Il comportamento della Chiesa, custode di anime sì ma solo se adeguatamente igienizzate e protette da mascherine d’acciaio, non può essere menzionato senza un brivido di vergogna e di cupa rassegnazione. Non dimentichiamo il panico generalizzato, la grancassa radiotelevisiva a reti unificate, la pedagogia martellante di cosa e chi è bene e di cosa e chi è male, la nuova morale secondo cui “proteggendo gli altri, proteggi te stesso” gareggiando in dosi di siero mRNA inoculate o vigilando sul “corretto uso della mascherina” (anche soli nel deserto o in montagna). Perchè questo è il concetto di responsabilità sociale affermatosi in quest’ultimo triennio, reso possibile e praticabile soltanto da una psicologia di massa già predisposta a una simile regressione.
Che il virus sia stato un orribile esperimento in corpore vili (perfettamente riuscito, peraltro) o una casualità servendosi della quale il potere ha ridisegnato (resettato) nel profondo la nostra concezione di vita, è giunto il momento di riafferrare la propria coscienza, rimettendola al servizio del discernimento e della riflessione più severa. Il tempo a disposizione è già terminato. L’alba di un nuovo shock globale, mosso da quegli stessi interessi che avevano fabbricato l’emergenza sanitaria e cavalcato e alimentato da quegli stessi attori mediatici senza i quali non saremmo mai riusciti a poter credere alle “bare di Bergamo”, monta già sugli schermi a quasi tutte le ore del giorno, e tra la gente il panico e l’ansia da “collasso climatico” vanno insinuandosi secondo il medesimo copione. Non dimenticare, mai. Non tollerare, mai più. Non rassegnarsi, ovunque possibile.
Classe 1985, milanese di nascita e di crescita (il cognome, del resto, lo testimonia), spendo la vita in occupazioni perfettamente inutili e passioni meravigliosamente crudeli, di quelle, per intenderci, “che non ti portano da nessuna parte”. Appassionato studioso di storia, unica scienza capace di leggere il presente e predire il futuro, ha narrato le vite di grandi figure del passato accarezzate dal vento della pazzia attraverso il podcast La Festa dei Folli (che proseguirà). Per Pensiero Verticale, oltre che del coordinamento generale del progetto, cura i programmi web-radio I podcast di Pensiero Verticale e Zambracca.