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La Vittoria, l’onore, il coraggio

A distanza di 105 anni ancora non si spengono, nè mai forse potranno spegnersi, le rampogne che puntualmente macchiano di vuoto moralismo le celebrazioni per la Vittoria italiana nella guerra 1915-1918. Il mantra storiografico ufficiale, in nome del quale si legge il passato e si modella il presente, è quello, per intenderci, dell’ “inutile strage”, della “vittoria insanguinata” in luogo di quella che molto più opportunamente (e teatralmente) venne definita da spiriti magni “mutilata”, del dramma psicologico di massa tale da essere inquadrato unicamente come condizione fertile per l’avvento, di lì a pochi anni, dell’orda fascista. Letture, interpretazioni, scontri dialettici che non hanno solo portato alla demonizzazione dell’evento (pur vittorioso) in sè, ma alla sua stessa liquidazione come troppo remoto o comunque ben poco “spendibile” nel tentativo di comprendere le dinamiche vertiginose che muovono il mondo odierno.

Eppure, lucidi come soltanto degli esseri autenticamente pensanti sanno e possono, è il sentimento di riconoscenza che quasi spontaneo sgorga dall’anima nel momento in cui il sacrificio di uomini valorosi ha vergato col sangue una pagina di storia italiana. Questi uomini, provenienti da ogni parte della penisola, tra loro estranei per modi, abitudini, in taluni casi financo di lingua, superarono divisioni create da un’Unità da poco ritrovata e forse un pò forzata. Emersero come membra di un sol corpo, quello di una Patria comune per la quale battersi difendendone i confini minacciati.

E’ Mario Carli, poeta e futurista, tra i primi volontari che nel 1917 accorsero nelle fila dei neonati reparti d’assalto del Regio Esercito, gli Arditi, a restituirci, con parole senza tempo, i lampi di quel sentimento così palpitante, ispirato dalla religione della vittoria, armato dal coraggio.

“Ne ho visti tanti, nell’atmosfera dell’eroismo, avventarsi con un bel grido, cadere con un bel gesto, figure potenti, degne di uno scalpello diabolico; ma quanti pochi nomi ricordo! Qualcuno, tuttavia, sopravvive nella mia memoria.

Tutti volevamo compiere con gioia qualunque sacrificio per la nostra Italia, ai cui piedi deponemmo generosamente le nostre giovinezze orgogliose, ma non volevamo che questo sacrificio fosse oscuro, inutile, perduto nell’immensità dello sforzo; non volevamo essere spinti alla morte: volevamo correrci da noi, con la nostra anima di sognatori e col nostro cuore appassionato: volevamo aver l’aria di donare ciò che ci si chiedeva, e di mettere nel dono tutti gli atteggiamenti più tipici della nostra natura rovente”. (tratto da Mario Carli, Noi Arditi,1919)

Quale significato possiamo assegnare agli arzigogolati schemi politici e alle loro spesso interessate facilonerie quando a parlare sono le voci, vive seppur immote, provenienti da quell’immensa “festa crudele”? Ancora gridano, ancora soffrono, ancora combattono, in mezzo a lampi di appassionato eroismo e nuvole di grigia frustrazione. Non sentiamo che un urlo. Disperato, eppure ancora vibrante nelle corde di coloro che hanno scelto una vita di milizia: non dimenticateci!

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