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L’UE ti sorveglia le chat

| Iohanna |

Lo scorso 6 luglio il Parlamento Europeo ha adottato la legislazione sul cosiddetto “controllo delle chat”, Chat Control per i più raffinati, con l’obiettivo dichiarato di contrastare e perseguire la pedopornografia.

Obiettivo più che lodevole al fine di sanare una piaga sociale, se non fosse che il cuore dell’azione sembrerebbe ben altro, ovvero un vero e proprio controllo di massa. Nemmeno poi così tanto velato.

L’UE vuole che in tutte le chat, i messaggi e e-mail private, i Provider cerchino automaticamente i contenuti sospetti, in generale e indiscriminatamente.

Il risultato: sorveglianza di massa attraverso messaggistica in tempo reale completamente automatizzata e controllo della chat e la fine della segretezza della corrispondenza digitale.

Il quadro normativo di riferimento è la Direttiva e-Privacy che controlla tutte le comunicazioni elettroniche in Europa, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche. La deroga apportata dal Regolamento “ Chat Control” si concentra principalmente sulle attività che i Provider sono legittimati a fare per lo svolgimento delle loro attività. Nello specifico, tutti i prestatori di servizi di comunicazioni elettroniche interpersonali, tra cui WhatsApp, Facebook, Telegram, piattaforme di messaggistica e altri, sostanzialmente applicheranno una scansione automatizzata dei messaggi, delle chat, della posta elettronica e qualsiasi altro tipo di servizio di comunicazione. Le piattaforme di comunicazioni digitali potranno controllare le nostre chat per tre anni alla ricerca di abusi sessuali online su minori.

La semplice panoramica descritta lascia spazio ad un immenso campo di problematiche. Se la sicurezza sulle piattaforme virtuali da sempre è materia di interesse per la tutela dei minori che da sempre avanza importanti lacune in materia, con questo regolamento siamo di fronte ad una limitazione irrevocabile al nostro diritto fondamentale alla privacy, dove il contrastare l’adescamento di minori, abusi e molestie viene posto palesemente al secondo piano. Questo implicherebbe ovviamente la fine della segretezza digitale e soprattutto della nostra corrispondenza.

Sono diversi gli scenari problematici: cosa succederebbe, infatti, se un’innocente immagine di un minore inviata da un genitore all’altro dovesse essere ritenuta dall’algoritmo materiale pedopornografico? A quel punto partirebbe la segnalazione alle autorità competenti? Ma a che prezzo? Sicuramente la riservatezza e la tutela del minore in quel caso verrebbero meno, per motivi diversi dallo scopo che si prepone la deroga Chat Control, oltre al fatto che migliaia di soggetti potrebbero essere ingiustamente indagati, a causa dell’errore – possibile – di una macchina.

Il monitoraggio su piattaforme di grandi dimensioni porterà solo i criminali a spostarsi su piattaforme in cui il controllo della chat sarà tecnicamente impossibile. Di conseguenza, persone innocenti verranno, letteralmente, “ficcanasate” su base giornaliera mentre il tentativo di rintracciare i criminali fallirà. Per poi arrivare alla più semplice interpretazione, ovvero un controllo delle faccende altrui per monitorare, ad esempio: spostamenti, transazioni economiche, quarantene Covid violate, festini pazzi, scandali, foto dei compleanni dei figli e degli amici a 4 zampe.  

Niente di orwelliano, nessun “Big Brother is watching you[1] è menzionato, ovviamente, ma certamente sottointeso. In un mondo che si accinge a distinguere le persone tra possessori di Green Pass e no, converrà munirsi di penna e calamaio per comunicare tramite lettere, avvalendosi di fidati piccioni viaggiatori perché l’UE di farsi i fatti suoi non ha interesse.

Passo dopo passo ci si addentra davvero in quello che è ormai divenuto di fatto un controllo sistemico e sistematico delle cose e, soprattutto, delle persone. Questo succede non solo in Cina, ma nella nostra vicina Europa, a casa nostra. Emblematico è l’episodio avvenuto quest’autunno con protagonista il performer cinese Deng Yufeng[2], che ha percorso un chilometro rendendosi invisibile dal sistema di videosorveglianza pechinese a circuito chiuso denominato “Rete del cielo”, ovvero un reticolato di videocamere che rende impossibile camminare all’aperto senza essere ripresi e scrutati da agenti specializzati nel controllo e interpretazione delle immagini che fluiscono 24 ore su 24 nelle sale operative della polizia. Somiglianze? La nostra differenza è che tutto passerebbe semplicemente dal nostro schermo dello smartphone, dalle nostre webcam facilmente accessibili da terzi e dalle letture delle nostre conversazioni tramiti messaggi.

Siamo davvero consapevoli di quello che stiamo vivendo?

“Quante volte, o con quali sistemi, la Psicopolizia si inserisse sui singoli apparecchi era oggetto di supposizione. Si poteva addirittura dedurre che osservasse tutti in qualsiasi momento. In ogni caso, era in grado di collegarsi al vostro apparecchio ogni volta che voleva. Dovevate vivere (e di fatto lo facevate, in virtù di quell’abitudine che diventa istinto) dando per scontato che qualsiasi rumore da voi prodotto venisse udito e qualsiasi movimento, esclusi quelli fatti al buio, attentamente scrutato.” (George Orwell, “1984”)


[1] 1984 (Nineteen Eighty-Four), George Orwell pubblicato nel 1949, ma scritto nel 1948.

[2] Pechino, lo slalom dell’artista per diventare invisibile alle telecamere- Corriere.it

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