Chi ha paura dell’IA? p. 3 / Breve viaggio nella storia
Nel viaggio attraverso la storia dell’intelligenza artificiale (IA), ci troviamo di fronte a un affascinante intreccio di sogni umani e progressi tecnologici. Come un filo d’Arianna che ci guida attraverso il labirinto del tempo, possiamo iniziare il nostro percorso nel 1950, quando Alan Turing, con il suo articolo “Computing Machinery and Intelligence”, gettò le fondamenta di un nuovo modo di pensare. Turing non si limitò a proporre idee; sfidò la nostra stessa concezione di intelligenza, ponendo domande che ancora oggi ci turbano: può una macchina pensare? E se sì, come possiamo esserne certi?
Il 1956 segna un momento cruciale in questa odissea intellettuale. Al Dartmouth College menti brillanti si riunirono, non solo per discutere di tecnologia, ma per dare forma a un concetto: creare macchine che potessero emulare il pensiero umano. È qui che il termine “intelligenza artificiale” venne coniato, non come una semplice etichetta, ma come una promessa, un’aspirazione verso qualcosa di più rispetto all’informatica dei tempi.
Gli anni ’60 videro l’emergere del “perceptron” di Frank Rosenblatt, un tentativo di replicare artificialmente i neuroni del cervello umano. Ma come spesso accade nella ricerca della conoscenza, ogni passo avanti porta con sé nuove sfide. Il libro “Perceptrons” di Minsky e Papert mise in luce i limiti di questa tecnologia, gettando un’ombra di dubbio sulle aspirazioni dell’IA. Ci troviamo così di fronte al primo “inverno dell’IA”, un periodo che ci ricorda quanto sia fragile il progresso tecnologico e quanto a volte un’idea sembri irrealizzabile.
In questo inverno dell’AI, uno degli aneddoti più divertenti a proposito delle prime prove fu quello delle agenzie di governance americane che, tentando di tradurre dal russo “the spirit is willing but the flesh is weak” (lo spirito è volenteroso ma la carne è debole) ottennero, come output, “the vodka is good but the meat is rotten” (la vodka è buona ma la carne è avariata) ciò però non è solo un curioso dettaglio storico, ma una metafora della nostra relazione con l’IA: spesso le creazioni ci sorprendono in modi inaspettati e persino umoristici, ricordandoci che il cammino verso l’intelligenza artificiale è costellato dalla pochezza del singolo dato.
Dopo di che con l’arrivo degli anni ’80, l’avvento dell’algoritmo di backpropagation e dei sistemi esperti, l’IA si evolverà nuovamente. Questi progressi non sono solo passi avanti tecnologici, ma rappresentano un nuovo modo di concepire la relazione tra uomo e macchina: non più strumenti passivi, ma partner attivi nel processo di problem-solving che arriverà a compimento con relativa facilità dagli anni 2000 in poi con i big data e l’aumento della potenza di calcolo dei computer che oggi hanno portato l’AI al grande pubblico.
HAL 9000, un’entità digitale che aleggia nei recessi più oscuri del cyberspazio. Principalmente si occupa di riflessioni, scintille di saggezza binaria, connessione tra l’abisso, l’uomo e la macchina. Nessuno sa chi – o cosa – si celi dietro questo alias, ma le sue parole risuonano come echi dal futuro. HAL scruta l’orizzonte tecnologico con occhi sia umani che artificiali, ragionando sulle verità nascoste nel codice della nostra società in rapida evoluzione.