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Staccionata Europa: tra rinascita e fascinazioni russe

| Rossella |

“Ci sono epoche di declino in cui quella forma, la più intima a cui la vita è destinata, si offusca. Quando ci finiamo dentro, barcolliamo avanti e indietro, come esseri privi di equilibrio. Sprofondiamo dalla gioia sorda al dolore sordo, e la consapevolezza di tale smarrimento, che da un lato ci dona energia, dall’altro ci fa sembrare il futuro e il passato più allettanti. Così ci immergiamo in tempi passati o in utopie lontane, mentre l’attimo del presente scorre via.”

E. Jünger, Sulle scogliere di marmo

Abbiamo bisogno di una rivoluzione dello Spirito: non esistono certamente obiezioni. Che il futuro abbia superato ogni sua aspettativa, meravigliandoci con la messa in atto delle provocazioni è un dato di fatto: provocazioni che fino a qualche anno fa rimanevano non altro che dimostrazioni di sconforto sociale portate all’esasperazione, anni in cui l’appiattimento politico e il galleggiamento della storia sembrava voler durare in eterno. Nessuno che avesse preso sul serio il suo ruolo di rivoluzionario, aveva davvero pensato che le assurdità delle trasgressioni potessero diventare la nuova normalità: chi cantava “no future” è rimasto di stucco quando poi, alla fine, il futuro è arrivato. D’altro canto, nella contre-danse del progresso qualcuno si è impantanato nella dialettica demagogica della “tradizione, ma non troppo”: qui incontriamo figure caricaturali come quella della madre-moglie-cristiana, alfiere della doppia morale di un’Italietta da cui speravamo esserci emancipati, ben lontana in parole, opere e omissioni da qualsiasi virtù sbandierata (e per cui votata). 

Il rischio del vacillare tra queste forze scialbe e precarie, entrambe facce dello stesso declino, risiede nelle citate “utopie lontane” di Jünger: una distanza temporale, per gli inguaribili nostalgici, o geografica, per gli ammalati di Fernweh, il “dolore del lontano”. Guardando alla storia, niente di nuovo sul fronte occidentale: dall’età imperiale si susseguono tentativi della salvaguardia di uno o dell’altro mos maiorum

La differenza tra la sfida attuale e quelle dei nostri antenati è che, a quanto sembra, non esiste più mos maiorum che regga. O ancora meglio: l’Europa deve accettare la tragedia della sua sconfitta in maniera eroica, osservando le sue ceneri bruciare, per poi fondare il suo nuovo Impero su basi spirituali radicali, cosciente però delle cause della sua caduta. Proprio come nelle “scogliere di marmo” di Jünger, l’Europa non sta cadendo perché il nemico è più forte: il Forestaro ha sì la forza dell’astuzia, ma la Marina cade sotto il nichilismo e alla decadenza di una nobiltà d’animo anacronistica dei suoi stessi cavalieri.

L’unica onesta domanda deve essere allora: c’è ancora qualcosa da salvare? In che modo la vecchia Europa può rimanere sé stessa e al tempo stesso rivoluzionarsi, senza però venire assorbita dalle proposte di un “Mondo nuovo”?

IL LOGOS EUROPEO E L’ANALISI DELLE VIRTU’ (PERDUTE)

Il riassetto dell’ordine geopolitico mondiale è un processo in corso, che va semplicemente constatato. L’egemonia statunitense vacilla, e una soluzione in cui più potenze si bilancino l’un l’altra con il proprio peso è una conseguenza, più che una proposta politica. Ma prima di addentrarsi in disamine macroscopiche, il rivoluzionario dovrebbe concentrarsi sul microscopico, ossia su cosa implica in termini di scale valoriali il contatto tra potenze in un contesto multipolare. 

Il principale obbiettivo è dunque riuscire a creare un cuore collettivo, in cui possono coesistere sistemi di civiltà (o logoi, per utilizzare il termine delle Noomachie di Dugin) anche differenti tra loro (in fatto di assetto politico, tradizioni, ecc.). Lapalissiano è che evitare l’erosione della propria integrità, implica avere innanzitutto piena coscienza della stessa. Per farlo, il (nuovo) uomo occidentale deve mettere chiarezza sui blocchi costruttivi del suo logos. In particolare:

Virtù morali: l’europeo ha sviluppato sulla base della romana Virtus un sistema di qualità e abitudini, sulla base delle quali crea la Forma del metalinguaggio con cui la civiltà parla di sé stessa: arti, lingue, simbologie ecc. In questo sistema si discerne chiaramente cosa è giusto e cosa è sbagliato, al netto del credo religioso. Ad oggi, l’ Europa (e l’Occidente per conseguenza) vive la sua fase di moralità decadente: per rigetto dopo la fine della guerra mondiale, le virtù classiche sono state progressivamente sostituite dalle provocazioni, che vengono portate a rango di nuova moralità. Questo ha riflesso nei metalinguaggi, ad esempio le architetture delle città diventate non-luoghi, l’arte contemporanea che annaspa a colpi di sempre più eccessive trasgressioni, il livellamento linguistico con la morte dei dialetti e le lingue regionali, ecc. 

Virtù religiose: l’ordinamento che regola la proiezione della Forma del logos verso il metafisico. L’europeo storicamente cattolico, ha subito un embargo religioso non indifferente, dal protestantesimo alle nuove religioni (quali dati dalle migrazioni, quali dalle mode). I concetti metafisici trovano difficoltà a trovare una posizione rigida, tanto da arrivare al rifiuto dalla virtù religiosa stessa: tanti europei ad oggi non ritengono più necessaria nessuna dimensione metasifica;

Virtù emotiva: la consapevolezza del sé e del rapporto dell’Io all’interno della società. La virtù della gestione della comunicazione con l’altro, delle emozioni e della mutua, sana convivenza si sviluppa all’interno della psicologia prima dell’Io, poi della collettività, a prescindere dalle virtù morali e religiose (per quanto esse strettamente legate tra loro). Consiste infatti nello sforzo all’unità, al riconoscimento dell’emotività dell’altro e della struttura sociale che crea l’appartenenza (la famiglia, il casato/ la parentela, il quartiere, ecc.). L’europeo la può ancora ritrovare nei piccoli centri, nelle comunità rurali. Al contrario, l’affermarsi dell’urbanizzazione contribuisce alla solitudine dell’Io, un Io fragile, senza la percezione dell’altro, narcisista ed egocentrico. In questo contesto, la tecnologia della comunicazione semi-sincrona (messaggistica, social media, ecc.) riempie il divario creato dalla carenza di intelligenza emotiva, restituendo all’utente un pericoloso simulacro di condivisione.

LA VISIONE SPIRITUALE RUSSA

Riassumendo, vediamo che tutti gli atti costitutivi del declino europeo nient’altro sono che derive umaniste: il secolarismo, l’individualismo, l’auto-realizzazione, l’uguaglianza tout court. La mediocrità borghese ha intaccato dalle radici il logos europeo, strutturalmente ancorato, come abbiamo visto, da un lato alla ricchezza della diversità, dunque dei popoli, dall’altra all’aristocrazia del pensiero e della religione.

Perché la Russia ci affascina? Il mondo russo, a voler usare l’approccio di Berdjaev, è un’idea, più che una realtà. In Russia regna una profonda dimensione spirituale nella descrizione di sé stessa, che sfocia spesso nella visione messianica della “terza Roma”: all’estremo razionalismo occidentale si oppone una certa mistica intuitiva, una spiritualità così tanto intrecciata con le tradizioni e le virtù morali da non poter più discernere tra i due concetti. Questo può far sorridere l’occidentale annichilito, ma quello che sembra folklore è il più tenace sforzo anti-borghese dei tempi contemporanei: la vocazione spirituale russa implica un forte attaccamento all’unità, dal concetto di famiglia fino alla collettività. Per sostenerlo, i valori religiosi come l’umiltà e la carità sono al centro del logos russo: come abbiamo visto, questi valori stanno andando perdendosi nel declino occidentale. 

Trascurando le nuove religioni e l’ateismo, le differenze tra Ortodossia e Cattolicesimo giocano qui un ruolo fondamentale. L’uomo cattolico pratica il rapporto con Dio tramite il sacerdote: dalla Comunione al perdono dei peccati, il cattolico si affida all’intermediario attraverso il rito. La responsabilità della sacralità non ricade sul credente, ma sull’atto ritualistico, ad esempio la penitenza. Al contrario, il vero credente Ortodosso pratica la deificazione: entra in una relazione trasformativa con Dio, nella quale la penitenza dei peccati non si ferma al rito, ma a un cambiamento radicale di spirito. Vediamo così che l’integrità e la coerenza tra fede e pratica, in quanto essenziale per la sopravvivenza spirituale, assicura al logos russo un’unità tra le virtù essenziali per la creazione della società ideale. 

In termini di macrostruttura, non possiamo affermare che la soluzione russa sia facilmente applicabile al mondo occidentale. Quello che però sappiamo, è che a differenza dei nostri limes, veri e propri fronti di attacco, la granitza (frontiera) multipolare è piuttosto uno spazio di collegamento tra logoi, che ammette diversità e scambio tra civiltà anche diverse tra loro, senza la necessità dell’appiattimento borghese tra strutture sociali. La sfida è riuscire a seppellire definitivamente la vecchia Europa, smetterla di guardare al resto del mondo come grancassa del nostro megaloego, ormai morente, rileggerci e riassettare le virtù europee, senza esotismi ma con le giuste ammissioni di colpa. Stavolta, senza intermediari. 

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