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America’s best Ghost Town

Ne rimase colpita Oriana Fallaci, la quale nel libro Viaggio in America in compagnia di Shirley MacLaine, si cimenta in un viaggio on the road sulle tracce dei vecchi pionieri accecati dalla vanagloria e dalla bramosia materiale della conquista del west, uno scorcio sull’America profonda, sulle sue contraddizioni e sui primi scossoni degli anni Sessanta. Al cospetto delle ghost town, le città abbandonate, un fenomeno del tutto normale per la sua accompagnatrice, lo scrittore – perché così voleva farsi chiamare – definisce quel lascito di rovine di legno e cemento al vento “come si abbandona un’amante sgradita”, d’altronde l’americano è colui “che non si affeziona mai a nulla, cambia sempre indirizzo, si stacca senza dolore da tutto: genitori, figli, coniugi, case, paesaggio”.

Ghost town si diventa, non si nasce e imperterrita in questa direzione-declino volgiamo lo sguardo nel cuore del Midwest entro la cosiddetta Rust Belt per arrivare a Detroit.

Meta di riferimento dell’industria mondiale dell’automotive dal dopoguerra, patria delle Big Three, ossia GM, Ford e Chrysler, la metropoli al suo apice contava quasi due milioni di abitanti, rendendola una delle città più popolose degli States. Ma, come detto, ghost town non si nasce, si diventa e il graduale declino di Detroit comincia già nei turbolenti anni Sessanta, grazie all’esplosione di quelle tensioni sociali e razziali che genereranno il cosiddetto white flight, ossia la fuga dei bianchi, passando per la crisi petrolifera e l’automazione delle fabbriche, finendo col colpo di grazia della crisi recente delle Big Three e gettare la working class nella desolata disperazione cantata da Eminem in 8 Mile.

COSA E’ ANDATO STORTO?

Quasi come se fosse stata colpita da un’epidemia o falcidiata da un brutale conflitto, la popolazione si riduce di due terzi, interi quartieri della megalopoli sono ora buchi neri sulla mappa, decine di migliaia le strutture che cadono letteralmente a pezzi: la città, assurta alla pacchiana percezione comune come la Paris of the West, è ora un immenso cimitero di elefanti a macchia di leopardo, si salvano solo il downtown e poche altre aree residuali, il resto va all’asta al Banco dei Pugni, la Hardcore Pawn di Les Gold.

E POI, ARRIVA IL SUPEREROE

Come in ogni storia a stelle e strisce che si rispetti, anche e soprattutto cinematograficamente, il supereroe non tarda ad arrivare: parliamo del quarantasettesimo uomo più ricco al mondo, Dan Gilbert, di famiglia ebraica, che nel 2010 ha trasferito il quartier generale della sua Quicken Loans, colosso fornitore di mutui ipotecari, nel pieno centro di Detroit. Gilbert è in primis un vero filantropo e nel bel mezzo della scorpacciata immobiliare della Paris of the West, nel 2012, ha trovato il tempo per unirsi a The Giving Pledge, l’organizzazione di beneficenza fondata da altri noti filantropi come Bill Gates e Warren Buffet, nel 2017 Politico Magazine lo ha inserito tra gli “11 sindaci più interessanti d’America”, pur non essendo primo cittadino, perché solo nei film i supereroi indossano i costumi, nell’American Nightmare delle città fantasma è sufficiente un costoso completo e un biglietto da visita con la dicitura philantropy.

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