Benedetto, la Chiesa e il “piccolo resto”
“Non dev’essere pianta la morte, perchè è causa di salvezza…”. E’ il Padre della Chiesa Ambrogio a esprimere, con parole rischiaranti, il senso dell’inveramento di una vita autenticamente cristiana, vissuta secondo la fede che è sostanza della speranza (Benedetto XVI, Spe salvi, p. 24). Nel discorso funebre che egli tiene per il fratello defunto Satiro vi è perfettamente esplicato il concetto di limite. Limite ad una vita che oggi si vorrebbe interminabile (ossia il contrario del vivere in eterno), senza una meta precisabile con esattezza, senza quella coscienza di appartenere a Qualcuno che trascenda la nostra parabola terrena. E’ l’eliminazione della morte o anche il suo rimando, illimitato per l’appunto, a mettere la terra e l’umanità in una condizione impossibile che non renderebbe neanche al singolo stesso un beneficio. Gli ultimi atti con i quali Joseph Ratzinger ha accompagnato gli istanti subito precedenti il suo incontro finale con Dio, si leggono velati di quella chiara lucidità che distingue una vita creatrice da una vita spettatrice: il rifiuto del ricovero in ospedale, la serena agonia, il prostrarsi a Cristo con l’ultimo filo di voce rimasto.
Se ne va dunque un gigante, tedoforo della ragione nell’epoca più anti-razionale e anti-umana della storia. Le sue opere, di pensiero e di testimonianza, illumineranno ancora il sentiero della ragione quando si offuscherà quello delle fede e il sentiero della fede quando si oscurerà quello della ragione. Poichè proprio di fede e ragione, oggi per meglio dire fede e scienza, continua a nutrirsi, in modo molto equivoco e a tratti superficiale, il dibattito odierno, non sarà vano esercizio tornare su quanto dal Papa emerito espresso negli anni antecedenti l’inizio della grande offensiva ateistico-materialista sotto la cui Cappa (M.Veneziani) opprimente ci tocca vivere. Quella Cappa che ha finito per investire la stessa Chiesa, stanca e logora prima che complice dell’attuale disastro globale. Nell’enciclica Spe salvi (2007) parole lucide, quasi profetiche mettevano in guardia da una scienza che “può anche distruggere l’uomo e il mondo, se non viene orientata da forze che si trovano al di fuori di essa”. Denunciando il ripiego della Chiesa moderna sulla salvezza individuale e la conseguente rinuncia al riconoscimento della grandezza del suo compito universale, essa “ha ristretto l’orizzonte della sua speranza”, ribadendo infine come non spetti alla scienza il compito di “redimere l’uomo”. Quella stessa scienza dialogando con la quale, come recita il suo Testamento spirituale, “la fede ha imparato a comprendere meglio il limite della portata delle sue affermazioni, e dunque la sua specificità”. Lo stridulo contrasto che si orecchia quando ci si volge verso quelle ridotte di catto-emergenzialisti che da un triennio vociano sul “credere alla scienza” è qui dispiegato in tutta la sua paurosa insolenza.
Quella stessa paurosa insolenza, indifferente ad ogni pudore e ad ogni decenza, che gli stessi epigoni (minori, molto minori) oggi “coccodrilli” per il suo trapasso riservarono all’allora Papa Benedetto XVI innalzando i muri dell’intolleranza più bieca per sbarrargli la strada della Sapienza di Roma nel 2008. L’atto più osceno, consumato ad opera di quell’organismo purulento e putrescente che è l’università italiana. “Lo spirito di intolleranza deve basarsi su ragioni ben meschine, giacchè cerca ovunque i suoi più vani pretesti”, diceva Voltaire, uno di quegli esprits èclairès tanto celebrati dai moderni scientisti ma che forse anch’egli schiferebbe.
Ci si sente d’un tratto più soli, come se a essere persa, prima di una persona, fosse stata una testimonianza valida e operante attraverso il volgere impetuoso dei tempi. Quel “buio baratro del nulla” (J. Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, 2005) sembra costituire l’unica visuale concessa all’uomo presente, che profetizzando e poi realizzando la “morte di Dio” (Nietzsche) ha de facto ucciso sè stesso. Non sarà però che un “piccolo resto”, un “piccolo gregge” a far germogliare una necessaria resistenza a quella “evaporazione del cristianesimo” che già nell’evo post-conciliare l’allora cardinale Ratzinger aveva messo a tema della sua missione di fede. Un “piccolo resto”, appunto, desideroso di piacere a Dio più che al mondo e di restare “in” esso senza per questo essere “di” esso. A questo pugno insignificante di fedeli indomiti il compito della rinascita di una Chiesa più santa. Ad un piccolo resto di volonterosi l’impossibile missione di resistere all’orda avanzante.
Classe 1985, milanese di nascita e di crescita (il cognome, del resto, lo testimonia), spendo la vita in occupazioni perfettamente inutili e passioni meravigliosamente crudeli, di quelle, per intenderci, “che non ti portano da nessuna parte”. Appassionato studioso di storia, unica scienza capace di leggere il presente e predire il futuro, ha narrato le vite di grandi figure del passato accarezzate dal vento della pazzia attraverso il podcast La Festa dei Folli (che proseguirà). Per Pensiero Verticale, oltre che del coordinamento generale del progetto, cura i programmi web-radio I podcast di Pensiero Verticale e Zambracca.