BRICS: la sfida del nuovo mondo multipolare
a cura di Redazione ZENIT
L’acronimo BRICS venne coniato per la prima volta dal Responsabile della Ricerca Economica Globale di Goldman Sachs – Jim O’Neill – che nel 2001 pubblicò un’ analisi dal titolo «Building Better Global Economic BRICs», in cui indicava quattro economie emergenti in rapida crescita – Brasile, Russia, India e Cina – che avrebbero giocato un ruolo sempre maggiore nell’economia mondiale. Questi Paesi erano visti sia come una possibile minaccia per il G7, ma l’autore arrivò ad auspicare un possibile allargamento del formato proprio con il loro possibile ingresso. Fu probabilmente questo report a far sorgere un’autocoscienza, a creare una consapevolezza delle potenzialità di una collaborazione tra Brasilia, Mosca, Nuova Delhi e Pechino, ma sarà soltanto nel 2009 – l’anno dopo la più grande crisi economica contemporanea, causata dalle inefficienze del sistema finanziario statunitense – che si terrà il primo summit dei BRIC.
La dichiarazione congiunta al termine dell’incontro contiene già la volontà di «portare avanti la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali, in modo da riflettere i cambiamenti dell’economia globale», in quanto si ritiene che «le economie emergenti e in via di sviluppo devono avere maggiore voce e rappresentanza», oltre all’impegno per un nuovo «ordine mondiale multipolare più democratico e giusto». Il Sud Africa verrà invitato a unirsi al gruppo l’anno successivo. Quest’anno dal 22 al 24 Agosto tutta l’attenzione mondiale è stata rivolta a Johannesburg, dove si è tenuto il XV summit dei BRICS e – dato l’attuale fermento geopolitico e geoeconomico – le aspettative erano molto elevate.
ALLARGAMENTO
Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa sono concordi all’allargamento, ma dei 22 Paesi che hanno presentato formale richiesta di adesione, soltanto Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran hanno ricevuto l’invito di adesione a partire dal 1 Gennaio 2024. La scelta non è stata casuale, perché questi nuovi ingressi permetteranno alla nuova struttura dei BRICS+ una maggior influenza in diversi settori strategici. Alla Russia – membro dell’OPEC+ – si affiancano altri tre importanti produttori di petrolio membri dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, vale a dire Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Iran, portando complessivamente la produzione petrolifera dei BRICS a circa il 35% della produzione globale. L’Egitto rappresenta un alleato fondamentale per le rotte commerciale, in quanti controlla il Canale di Suez, da dove nel 2022 è passato il 12% del commercio globale, l’Argentina è tra i tre principali produttori di litio al mondo e l’Etiopia, la cui adesione ha una valenza maggiormente simbolica, ospita la sede dell’Unione Africana.
I BRICS allargati potrebbero arrivare a rappresentare il 46% della popolazione mondiale, contro il neanche 10% dei Paesi del G7 e quasi il 30% del PIL globale, a fronte però del 43% del G7. Queste sono le prospettive se tutti gli Stati che hanno fatto richiesta e ricevuto l’invito di adesione entrassero nel gruppo, ma un ripensamento – forse l’Arabia Saudita – o un cambio politico al vertice – soprattutto in Argentina – è sempre possibile in queste situazioni.
DE-DOLLARIZZAZIONE
Com’era prevedibile, si è rivelata impresa più ardua del previsto quella di riuscire ad arrivare alla creazione di una moneta comune. Alcuni giorni prima del vertice la Presidentessa della Nuova Banca di Sviluppo – Dilma Rousseff – aveva infatti dichiarato che la via più percorribile fosse quella della de-dollarizzazione degli scambi commerciali internazionali in favore di un maggior impiego delle valute locali, che «non sono alternative al Dollaro – ha spiegato la Rousseff. Sono alternative a un sistema. Finora il sistema è stato unipolare. Sarà sostituito da un sistema più multipolare».
Ma un sistema più multipolare significa un sistema più frammentato, anche dal punto di vista monetario e nessuna singola moneta nazionale più aspirare di prendere il posto del Dollaro. Ben venga tuttavia la progressiva de-dollarizzazione dell’economia, usata come proiezione di potenza dagli Stati Uniti per esercitare la loro egemonia globale ormai in ritirata strategica, così come le riserve valutarie detenute in dollari, che sono passate dal 71% nel 1999 al 58% nel 2022.
RIFORMA DELL’ORDINE INTERNAZIONALE
Nella dichiarazione congiunta diffusa al termine del Summit è ribadita la volontà di dare maggiore rappresentanza alle potenze emergenti all’interno della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale a del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Quindi i BRICS non vogliono propriamente rivoluzionare l’ordine internazionale, bensì riformarlo, accettandone le regole e pretendendone il rispetto, agendo per depotenziare – anche in queste istituzioni – la supremazia degli Stati Uniti. Spicca inoltre il costante richiamo alla Carta delle Nazioni Unite, anche in riferimento alla guerra in Ucraina, senza mai sbilanciarsi né in favore di Kiev, né in favore di Mosca.
Tra l’altro Putin ha dovuto partecipare all’incontro da remoto, in collegamento video, perché il mandato di cattura emesso dalla Corte Penale Internazionale avrebbe costretto le autorità del Sud Africa ad arrestarlo, a riprova che la Russia non è isolata, ma al tempo stesso non ha alleati su cui poter fare affidamento. Xi Jinping ha infatti espressamente dichiarato che gli Stati dovranno «creare partnership ma non alleanze», perché nel Mondo Nuovo ogni Stato sovrano porrà sempre al primo posto i propri interessi nazionali, senza vincolarsi alle cause altrui. Sarebbe bene che anche noi Europei iniziassimo a rendercene conto.
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