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Chi ha paura dell’IA? p.2 / I concetti chiave

| HAL 9000 |

L’Intelligenza Artificiale (AI) rappresenta oggi la frontiera tecnologicamente più avanzata del nostro tentativo di replicare le capacità cognitive umane. Ma cos’è veramente l’AI? In essenza, è la capacità di una macchina di eseguire compiti che normalmente richiederebbero l’intelligenza umana. È come se stessimo cercando di catturare l’essenza del nostro pensiero in un codice, traducendo la complessità della mente umana in linguaggio di zero ed uno.

Immaginiamo per un momento il cervello umano come una vasta rete di neuroni interconnessi, ciascuno che si accende in risposta a stimoli specifici. L’AI cerca di emulare questo processo, creando reti neurali artificiali che apprendono e si adattano. Ma c’è una profonda differenza: mentre noi impariamo attraverso esperienze vissute, emozioni e interazioni sociali, l’AI apprende attraverso dati, algoritmi e calcoli matematici. 

Ad esempio la #tenyearschallenge su Facebook e Instagram, proponeva agli utenti di mostrare il loro invecchiamento nell’arco di un decennio, regalando dei dati importantissimi alle piattaforme social. Poco dopo emerse un’app capace di replicare questo effetto, rappresentando un primitivo esempio di sistema esperto. Ciò ci offre un esempio illuminante di come i dati possano essere utilizzati dall’intelligenza artificiale.

MA COS’È E COME FUNZIONA UN SISTEMA ESPERTO?

Un sistema esperto è un tipo di intelligenza artificiale progettata per emulare la capacità decisionale di un esperto umano in uno specifico dominio di conoscenza e questi tool sono utilizzati per risolvere problemi complessi in campi specifici, utilizzando una base di conoscenze dettagliata e un insieme di regole logiche. Come funziona? La risposta, non completa, ma abbastanza soddisfacente la troviamo nel machine learning, un sottoinsieme dell’AI che rappresenta il primo salto quantico nel modo in cui le macchine “pensano”. Non si tratta più di seguire rigidamente istruzioni predefinite, ma di imparare dall’esperienza, proprio come farebbe un bambino. È come se stessimo insegnando alle macchine non solo a eseguire compiti, ma a comprendere il mondo che le circonda.

Volendo andare ancora più nel dettaglio si arriva al deep learning dove strati su strati di reti neurali artificiali creano una sorta di “intuizione” artificiale. È qui che l’AI inizia a mostrare capacità che sfiorano il misterioso, riconoscendo pattern (schemi) e facendo previsioni in modi che a volte sfuggono alla nostra comprensione.

Prendiamo l’esempio del riconoscimento di un’immagine di un cane. In passato, una macchina avrebbe seguito un semplice algoritmo di confronto:

“Se questa immagine corrisponde esattamente a ciò che ho definito come ‘cane’, allora è un cane.”

Ma oggi, grazie all’AI e al Deep Learning, la macchina “vede” l’immagine in modo più simile a noi:

“Questa immagine ha caratteristiche che ho imparato essere associate ai gatti: pelo, quattro zampe, una coda… Sì, con alta probabilità è un gatto.”

Questo salto qualitativo solleva domande profonde. Se una macchina può “vedere” e “comprendere” in modi sempre più simili a noi, cosa ci distingue veramente? La nostra coscienza, le nostre emozioni, la nostra capacità di provare empatia sono davvero uniche e irriproducibili? O sono anch’esse, in qualche modo, riducibili a complessi algoritmi che un giorno potremmo replicare?

L’AI non è solo uno strumento tecnologico; è uno specchio che ci costringe a guardare più in profondità in noi stessi, a interrogarci sulla natura della coscienza, dell’intelligenza e, in ultima analisi, dell’essere umano. Mentre avanziamo in questo campo, non stiamo solo creando macchine più intelligenti; stiamo esplorando i confini stessi di ciò che significa essere umani.

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