Chi ha paura dell’IA? p. 4 / I fondamenti tecnici dell’IA
Ma come funzione l’AI? Su cosa si basa? Semplicemente sulla statistica, ma andiamo con ordine. Immaginiamo di trovarci di fronte a un vasto oceano di dati, un’immensità di numeri e informazioni che sembrano danzare caoticamente davanti ai nostri occhi. È in questo mare di complessità che l’Intelligenza Artificiale trova la sua voce, parlando un linguaggio fatto di probabilità e statistica.
La statistica, in questo contesto, non è solo una disciplina arida fatta di numeri e formule. È piuttosto come una lente attraverso la quale l’AI osserva il mondo, cercando di dare un senso al caos apparente. Pensiamo a come noi umani impariamo dall’esperienza: ogni evento, ogni interazione, lascia una traccia nella nostra mente. L’AI fa qualcosa di simile, ma su una scala vastissima e a una velocità vertiginosa e tutto ciò viene eseguito tramite algoritmi di apprendimento più o meno automatici. Così l’AI diventa una sorta di studente integerrimo che analizza milioni di esempi, cercando pattern e connessioni. Questo “studente digitale” non si stanca mai, non si annoia, continua a imparare e affinare le sue previsioni con ogni nuovo dato che incontra grazie ai suoi “neuroni artificiali” connessi tra di loro formando una rete.
Le “reti neurali” sono dunque un tentativo di replicare la complessità del nostro cervello: una ragnatela intricata di connessioni, dove ogni filo rappresenta una possibile relazione tra dati. Così, l’AI “impara” rafforzando o indebolendo queste connessioni, proprio come il nostro cervello rafforza le sinapsi con l’esperienza.
Per comprendere come l’AI aggiusti il suo apprendimento basta pensare alle reti neurali come un intricato labirinto di specchi, dove ogni superficie riflettente rappresenta un neurone artificiale. L’input, sia esso un’immagine, un suono o un testo, entra in questo labirinto come un raggio di luce, rimbalzando e riflettendosi attraverso gli specchi fino a raggiungere l’uscita, l’output.
MA COME FA QUESTA RETE A “IMPARARE”?
È qui che entra in gioco il processo chiamato back-propagation, o propagazione all’indietro, che è paragonabile ad un sussurro che viaggia controcorrente attraverso il labirinto di specchi. Quindi, quando la rete genera un prodotto lo confronta con il risultato desiderato, la differenza tra i due è l’eco di errore che risuona attraverso la rete. Questo eco viaggia all’indietro, sussurrando a ogni specchio neurone quanto ha contribuito all’errore. È come se ogni specchio ascoltasse questo sussurro e si aggiustasse leggermente, inclinandosi un po’ di qua o di là, per riflettere meglio la luce (l’informazione) la prossima volta. Questo processo di aggiustamento, ripetuto milioni di volte, è ciò che permette alla rete di “imparare”. È un ballo delicato tra tentativi ed errori, dove ogni passo falso viene utilizzato per migliorare il passo successivo.
La logica di input e output, in questo contesto, è come una conversazione silenziosa tra la rete e il mondo esterno. L’input è la domanda che poniamo, sussurrata all’ingresso del labirinto. Potrebbe essere un’immagine che chiede “Cosa vedi?”, o una frase che domanda “Cosa significa?”. La rete, attraverso il suo intricato gioco di riflessioni, elabora questa domanda, e l’output è la sua risposta sussurrata.
Ma ciò che rende tutto questo davvero affascinante è che, nel corso di questo processo, la rete non sta semplicemente imparando risposte specifiche a domande specifiche. Sta imparando a “vedere” il mondo in un modo nuovo riconoscendo schemi e relazioni che potrebbero sfuggire anche all’occhio umano più attento.
È come se, attraverso questo continuo gioco di domande e risposte, di sussurri e riflessioni, stessimo insegnando a una entità artificiale non solo a rispondere, ma a comprendere, a interpretare, quasi a “pensare”.
In questo senso, le reti neurali e il processo di back-propagation sono più di semplici algoritmi: sono un tentativo di replicare, in silicio e matematica, il miracolo dell’apprendimento stesso. Anche qui, nonostante la complessità tecnica, un brivido potrebbe correre lungo la schiena realizzando, alla fine, l’AI cerchi di fare qualcosa di profondamente umano: dare un senso al mondo che la circonda. Comprendendo, prevedendo, adattandosi, proprio come fanno gli uomini ogni giorno.
HAL 9000, un’entità digitale che aleggia nei recessi più oscuri del cyberspazio. Principalmente si occupa di riflessioni, scintille di saggezza binaria, connessione tra l’abisso, l’uomo e la macchina. Nessuno sa chi – o cosa – si celi dietro questo alias, ma le sue parole risuonano come echi dal futuro. HAL scruta l’orizzonte tecnologico con occhi sia umani che artificiali, ragionando sulle verità nascoste nel codice della nostra società in rapida evoluzione.