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Dall’acqua purificatrice, l’Uomo

| Redazione |

Siamo abituati ad un’industria cinematografica che o irride, o si tiene alla larga dal Sacro, o che quantomeno lo inquadra nel solito disclaimer “gli eventi che vedrete sono frutto della fantasia dell’autore e non corrispondono necessariamente alla realtà”. Non è sempre così, per fortuna: talvolta viene prodotta una meritevole opera dove viene lasciato al lettore, ritenuto intelligente a sufficienza, la facoltà di interpretare una certa storia. E in questo caso, non parliamo nemmeno di un racconto qualunque, ma di uno dei miti più antichi del genere umano, una storia diffusa in così innumerevoli varianti attraverso così tanti popoli che viene da chiedersi, per gli appassionati di antropologia, psiche umana e storia delle religioni, quanto possa essere risultato sconvolgente l’evento alla radice di una così sconfinata narrativa. Spesso nel mito del Diluvio la pioggia scesa dal cielo è un castigo, più raramente è un atto generativo: in tutti i casi l’acqua pulisce il grezzo o lo sporco e prepara ad una vita nuova.

Ai lettori più analitici potranno interessare le numerose ricerche sugli eventi storici che potrebbero essere stati alla base del mito, come la probabile inondazione dal Mar Nero al Mediterraneo del sesto millennio A.C. Tutti i lettori comunque, si spera, potranno rimanere appassionati dalla visione di Noah (2014 D. Aronofsky), un lungometraggio che, come da incipit, rende piena giustizia alla forza spirituale degli eventi. Proviamo a non dare spoilers. Sì, certo, la trama rispetta l’Antico Testamento dunque nessun “colpo di scena”, ma la regia riesce a respirare una certa libertà pur attenendosi a quanto tracciato dalla Genesi.

Noah racconta il destino delle due linee di sangue di Noè e di Caino durante i momenti in cui il mondo viene sepolto dall’acqua per quaranta giorni. La sceneggiatura ci offre panorami di una Terra giovane, fresca, primitiva, vergine, ancora popolata dai prodigi e dagli Angeli, dove la forza della Creazione si avverte vigorosa e magnetica. Per noi spettatori del terzo millennio D.C., che ci sentiamo quasi “alla fine della storia”, queste visioni ci fanno respirare un’età perduta.

L’equilibrio antidiluviano si rompe quando la stirpe di Caino, per mezzo del suo discendente re Tubal’Cain, cade nella hybris: essa corrompe la terra, ne spoglia le miniere, ne stermina gli animali, giunge persino a divorare sè stessa, al culmine della pazzia ed al termine delle risorse. E già qua, le attualità si sprecano.

Gli uomini non sentono più la voce del Creatore: tutti o quasi, perché Noè dialoga ancora con il cielo. Ma durante il varo dell’Arca nasce in lui una lotta interiore: l’uomo è così malvagio da non meritare un posto nel nuovo mondo, oppure c’è ancora speranza?

Noah spacca l’anima dell’uomo in tre tipi umani diversi:

  • il divoratore, il fabbro, l’industriale, la macchina, pronto a distruggere ogni cosa per assicurarsi la sopravvivenza
  • l’accelerazionista che ha giudicato l’uomo indegno del perdono e destinato all’estinzione per le sue colpe dinnanzi all’innocenza degli altri animali, e per questo è pronto persino a cessare la linea del proprio sangue
  • l’uomo capace di amore, sintesi di Hegel delle altre due figure, uomo che ferma il pugnale dinnanzi agli innocenti, che trova la forza morale di restituire dignità alla vita macchiata dal peccato. La stessa forza del messaggio che porterà, qualche millennio più tardi, un Uomo a morire sulla Croce in terra di Palestina.

Ci fermiamo qui. Il resto è un affascinante viaggio dove l’uomo, ritornando a sè stesso, riesce ancora a ridare del “tu” alle forze spirituale che lo muovono. Da godersi seduti e placidi sulle comodità del mondo dell’oggi.

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