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Emergenza (d)Istruzione 

| Claudia Castaldo |

L’istituzione scuola, da tempo, segue l’agenda ‘mondialista’ e le esigenze imperanti dei mercati globali. L’attacco alla scuola è stato sferrato dalle riforme scolastiche che negli anni l’hanno adibita a laboratorio di creazione del nuovo ‘cittadino globale’. Una formula, quest’ultima, che altro non è che un ossimoro: si tratta di creare “cittadini del mondo” ossia generazioni di individui che disconoscono sé stessi, la propria storia e le proprie radici culturali, ossia degli apolidi senza nazione di riferimento (il contrario del cittadino).

Gli obbiettivi dell’istruzione scolastica sono la globalizzazione e la standardizzazione delle menti, si investe nell’educazione di analfabeti scolarizzati e ben addestrati. Si promuove la nascita di esseri che di umano hanno ben poco: inetti, incolti, conformati e obbedienti, in una cornice di generalizzata omologazione che sprona all’ignoranza di sé stessi e dei rudimenti delle conoscenze della nostra civiltà. Si preferisce valorizzare e finanziare le discipline tecniche rispetto a quelle teoretiche, non c’è più spazio per la storia, per le lettere, per la filosofia, per l’arte..  La scuola così impostata inibisce il ragionamento, bandisce il pensiero critico, spegne la creatività, così da prevenire e sventare ogni possibile dissenso perché lo scolaro non deve avere alcuna capacità di argomentare, di sostenere un dibattito. D’altronde non c’è nulla di cui dibattere nel regno del pensiero uniforme. Non serve il latino, che ha già subito una riduzione delle ore, non serve la geografia che nei licei è stata inglobata alla storia in una nuova creatura mistica: la geostoria. Lo spazio dedicato alle discipline umanistiche si riduce perché queste sono considerate inutili. Arriverà il giorno in cui l’uomo contemporaneo, già indipendente e fluido, dovrà liberarsi dell’ ingombrante peso della sua storia. Umani espropriati della loro dimensione umana. 

Ad una scuola già in fase d’estinzione che ha disonorato la sua primaria vocazione, quella di trasmettere le conoscenze della nostra civiltà, arriva il colpo di grazia con l’aggiunta del pacchetto sanitario pandemico. La nuova paideia pandemica prevede una nuova forma di triste ed antiestetica disumanizzazione: la sparizione del volto mediante la mascherina. Gli alunni apprendono da una bocca ben nascosta: non colgono le espressioni sui volti dei docenti, dei compagni e non possono mostrare le proprie. Non sono le maschere di Pirandello, sono ormai l’estensione della nostra faccia. Gli studi effettuati sui bambini da Winnicott, psicanalista e pediatra, rivelano come il volto della madre sia il momento iniziale del processo di umanizzazione: il bambino impara a riconoscere sé stesso tramite il viso della madre e a distinguere sé dall’altro e dal mondo. Insomma, è il viso con la sua gestualità ad essere il primo strumento antropologico di conoscenza di sé e dell’ambiente circostante, oltre ad essere un naturale mezzo di riconoscimento sociale degli altri. D’altronde ci viene richiesto di non coprire il volto quando scattiamo la foto per la carta di identità, perché è il viso il primo segno distintivo di noi stessi che ci permette di essere riconosciuti. Alla funzione umanizzante si aggiunge quella sociale che la mascherina vuole stravolgere. Non è più il riconoscimento quello che viene insegnato ai giovani ma il misconoscimento; si insegna, cavalcando l’onda dell’emergenza epidemica, la paura innaturale e forzata dell’altro che si traduce in comportamenti di diffidenza, di esclusione, di distanziamento. Si ribalta il paradigma aristotelico dell’uomo come “essere sociale” che si traduce irrimediabilmente nella formula opposta: quella antisociale, ossia anti umana.

Nello ‘stato di natura’ hobbesiano in cui ci troviamo l’altro è un nemico da cui dobbiamo stare a debita distanza sociale, è un soggetto potenzialmente infettivo e moralmente inferiore qualora abbia scelto di non inocularsi il vaccino anti covid. La mancata dose è una ragione sufficiente ad ogni forma di discriminazione e colpevolizzazione rispetto alla perpetuazione dell’epidemia. Non è bastato ai nostri governanti sottrarre agli adolescenti e ai bambini due anni di svaghi, di socialità, di sport, ora si richiede che costoro si schierino dalla parte dei “buoni”. Devono seguire cadavericamente tutti i diktat se vogliono riconquistare un briciolo della libertà negata.

Queste piccole vittime sacrificate sull’altare del ‘bene collettivo’, depauperate della loro spinta vitale da aver perso ogni stimolo alla battaglia, hanno minuziosamente appreso da buoni alunni il galateo dell’epidemia: il gel, le mascherine, il distanziamento. Hanno anche imparato che i diritti inviolabili sono a scadenza di 12 mesi, di 9 o forse 6. In questa angosciante emergenza a tempo indeterminato la scuola dell’emergenza è in emergenza, si appresta a preparare i bravi cittadini del futuro: mascherati, distanziati e inoculati, disposti a tutto pur di non essere nuovamente rinchiusi. Senza cultura, senza idee, senza visioni, senza futuro, senza umanità. 

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