Emergenza (d)Istruzione / parte II. Contro la specializzazione
Questo testo riprende la riflessione sul sistema formativo italiano e, più in generale, sul concetto di cultura e di sapere cominciata con l’articolo pubblicato su Verticale lo scorso 3 gennaio leggibile qui: Emergenza (d)Istruzione
L’oggi è il tempo in cui regnano gli specialisti, i tecnici, gli esperti, coloro che vantano il possesso della cultura e la responsabilità morale di esserne i guardiani protettori. Cos’hanno in comune un economista, un medico e uno scienziato? Sono tutti investiti dall’alto di una qualche auctoritas, solo perché esperti in un campo del sapere e perciò autorizzati ad essere percepiti in una posizione più elevata in termini di credibilità e di eco mediatica rispetto agli altri. Sono tutti accumunati da una visione quantitativa, calcolabile, stazionaria, economica, materialistica della cultura, ridotta ad un ammasso sconclusionato di informazioni, collezionabili, accumulabili e acquistabili.
La cultura per un esperto o un tecnico, uno specialista più in generale, altro non è che un insieme disorganico e frammentario di nozioni che devono essere apprese e categorizzate per argomento o disciplina, e tale frazionamento trova le sue ragioni nelle esigenze economico-consumistiche della società postcapitalistica: il medico che si occupa di medicina e non si interessa di questioni etiche, lo scienziato che assoggetta l’uomo alla tecnica, l’economista ossessionato dall’andamento del capitale. In questa chiave, la cultura così smembrata si pone senza riserve al servizio di scopi strettamente materiali e utilitaristici, affrancata da ogni prospettiva assiologica sulla realtà, esattamente il contrario a cui ambisce la cultura in senso proprio.
Queste figure ‘autorevoli’, che elargiscono ‘verità’ allineate al sistema si situano ad ogni piano della scala sociale, avendo acquisito un elevato potere decisionale in ragione della loro preparazione tecnica spacciata per cultura. Reduci di un mondo scolastico caduto in rovina, gli esperti del nostro mondo sono stati ben istruiti conformemente a tutte le fasi della scolarizzazione, dall’addomesticamento della loro mente all’apprendimento pedissequo delle materie, acquisendo di volta in volta un maggior numero di nozioni e perdendo di vista la visione di insieme che tiene insieme e regolamenta la conoscenza. Ebbene, la cultura non è un monolite trasferibile mediante un semplice processo di alfabetizzazione. Certo, si deve studiare su manuali per conoscere la specificità di un argomento o di una disciplina, ma questo non fa di uno specialista un uomo colto e neppure un uomo autorevole, rende quel qualcuno solo ben istruito o scolarizzato. La specializzazione non è altro che la suddivisione in quantità più piccole e subordinate di conoscenza, che fanno vanto di specificità ma che sono l’oblio della visione di insieme che connette il tessuto conoscitivo.
La divisione in materie e specializzazioni in cui viene squartato il sapere, come avviene in scuole e università, tradisce lo scopo primario della cultura, poiché la decostruisce facendone perdere i collegamenti, calcificando il sapere in qualcosa di quantificabile e di statico anziché di qualificante e trasformandola in un ente misurabile e piegato a qualche scopo extraculturale. Così, lo studente conosce un fatto storico ma non dove si è sviluppato e qual è lo spirito dell’epoca che lo ha causato, oppure impara a memoria una formula matematico-fisica ma non come si è giunti ad elaborarla e per quale ragione storico-culturale.
Insomma, la scolarizzazione così come avviene nella maggior parte delle aule scolastiche è diseducativa e poco formativa. Partorisce però bravi discenti che l’indomani saranno bravi esperti di finanza o di medicina, volti noti di qualche pubblicità televisiva che sponsorizza qualche prodotto commerciale. Paragonati a sapienti della contemporaneità, gli artefici del progresso sotto il falso nome di esperti, rispondono non a ragioni culturali autoreferenziali e libere ma ad interessi di natura economica, in virtù dei quali ricevono il titolo fuorviante di autorità a cui fare riferimento .
IL SENSO DEL SAPERE
Sono esistite però esempi di diverse società di cui la storia umana è colma, in cui si conosceva bene il senso del sapere, in cui esistevano i sapienti, ossia uomini colti al solo servizio della cultura. L’auspicio dovrebbe essere quello di un ritorno all’uomo rinascimentale che anziché fratturare la cultura abusandone delle sue parti inerti, ne risana le fratture riscoprendola e tenendola insieme. Il sapiente è colui che si occupa della totalità del sapere, che conosce la matematica e la filosofia, la chimica e le lettere, che le unisce e non le divide. Colui è l’unico che riunendo i saperi nella forma originaria della cultura può mostrarne la coerenza della sua natura, la quale è coesa e rivolta ad un unico scopo: la formazione integrale dell’uomo. Il sapiente è l’unico protettore e produttore reale di cultura in senso proprio. Non è un tecnico, non serve il potente di turno né si piega a qualche istituzione.
Promuove la cultura, poiché il termine cultura deriva dal verbo latino ‘colĕre’ e rimanda al campo semantico del «coltivare». Acculturarsi e trasmettere cultura talvolta non è scolarizzare e distribuire informazioni o nozioni ma è un processo più profondo e complesso che valorizza il carattere vivo e dinamico della cultura, la quale non si esaurisce nell’atto dell’apprendimento ma è propriamente la vivificazione dei suoi contenuti trasmessi e appresi. Acculturare significa coltivare simboli, valori, memorie e significati di un popolo o di una tradizione appartenente ad un certo ambiente, cioè permettere che questi elementi vengano ereditati mediante un’ educazione volta all’interiorizzazione di questi. Il singolo li integrerà con il suo spirito e li rimetterà in circolo al di fuori, nella comunità, arricchiti di senso nuovo.
Ecco, la scuola dovrebbe porsi come obiettivo la formazione integralmente umanistica dei suoi discenti, infondere cultura e insegnare loro come farla propria per dare il suo contributo alla conservazione della stessa e al suo rinnovamento, diventare sapienti non specialisti, e ricordare sempre che il sapere è unico e non divisibile. Qualsiasi entità che la voglia separare ha come obiettivo quello di indebolirla, vuole umani a metà che siano disgiunti dalla loro natura spirituale e intellettuale più pura, in modo da essere più facilmente manovrabili e asservibili al profitto.
Il suo nome è Claudia, ama così tanto la filosofia che si è laureata pur sapendo che la sua sublime “inutilità” non l’avrebbe portata a nulla di buono sul piano professionale, e anche per questa ragione Pensiero Verticale è divenuta la sua oasi dove poter liberamente filosofeggiare.
Ma c’è dell’altro, ovvero tantissime altre cose inutili e antiscientifiche che venera: la poesia, l’arte e l’astrologia. È un’anima antica, tutta languore e culto delle rovine. È profondamente innamorata del mare e cerca la verità in ogni cosa.