Fu vera rivoluzione
Il 12 settembre di 102 anni fa Gabriele d’Annunzio marciò alla testa di circa duemila soldati ribelli da Ronchi verso Fiume, per liberare una città a maggioranza italiana ma che, proprio in quei frenetici e drammatici giorni del 1919, stava per essere consegnata agli slavi su volere del presidente americano Wilson. “Sarà la nuova crociata di tutte le nazioni povere ed impoverite, la nuova crociata di tutti gli uomini poveri e liberi contro le nazioni usurpatrici ed accumulatrici di ogni ricchezza” arringò dalla ringhiera del Palazzo del Governo in uno dei suoi primi discorsi alla folla che lo acclamava. La Città di Vita divenne una contro società, un laboratorio di sperimentazione politica e sociale. A Fiume s’incontrarono anarchici, futuristi, arditi e socialisti, tradizione ed innovazione, morale e trasgressione.
Scrive Giovanni Comisso che ai ragazzi in arrivo a frotte per partecipare all’epopea, gli ufficiali anticipavano: “tu devi sapere che sei giunto in una città pericolosa per i tuoi giovani anni…Qui si fa senza alcun ritegno tutto ciò che si vuole. Le forme di vita più basse e più elevate qui s’alternano non altrimenti che le luci e le tenebre”. Il carattere libertino e peccaminoso era, del resto, uno dei motivi dell’ostilità della grande stampa nei confronti di Fiume, descrivendo essa, come scrisse Gramsci poche settimane dopo il “Natale di sangue”, come “un’orda di briganti, assetata solo di soddisfare le passioni elementari della bestialità umana: la prepotenza, i quattrini, il possesso di molte donne”.
Ma, al di là dei miti, che cosa fu realmente Fiume? Una rivoluzione libertaria che scrollò, in uno spazio e in un tempo ristretti, i canoni della borghesia in un afflato nero-rosso, nazionalista e socialista assieme? Oppure costituì l’anticipazione della rivoluzione fascista, cioè di un ordine nuovo, gerarchico, militarizzato e subalterno al culto del capo? Fu, probabilmente, entrambe le cose. Di certo Fiume fu una rivoluzione dei giovani, non solo per l’imberbe età media di tutti i protagonisti, ma perchè, per la prima volta, si presentava come un esperimento politico in cui la giovinezza dovesse stare al centro del mondo e quasi motore dell’azione. Per inciso, d’Annunzio aveva suonato le 56 candeline al tempo della presa della città giuliana, ma era giovane tra i giovani, rinvigorito nello spirito e ritemprato dalla guerra appena conclusa, completamente immerso nella vita dei legionari.
Anticipazione, per certi versi, del ’68? Forse, ma con un’insormontabile differenza. Al nichilismo, distruttore dell’amor di patria, della rivoluzione sessantottina la rivoluzione fiumana vi si contrappone inesorabilmente con quel suo genuino seme di patriottismo libertario. Viva e attuale oggi come non mai.
Classe 1985, milanese di nascita e di crescita (il cognome, del resto, lo testimonia), spendo la vita in occupazioni perfettamente inutili e passioni meravigliosamente crudeli, di quelle, per intenderci, “che non ti portano da nessuna parte”. Appassionato studioso di storia, unica scienza capace di leggere il presente e predire il futuro, ha narrato le vite di grandi figure del passato accarezzate dal vento della pazzia attraverso il podcast La Festa dei Folli (che proseguirà). Per Pensiero Verticale, oltre che del coordinamento generale del progetto, cura i programmi web-radio I podcast di Pensiero Verticale e Zambracca.