Giù la maschera, sciocchi!
E così dal 28 giugno, lunedì prossimo, saluteremo la decretata liberazione dei nostri visi cerei dall’obbligo di mascherina nei luoghi aperti. Settimana scorsa è toccato alla Francia. E così in tante altre nazioni. Da qualche ora è caduto l’obbligo in Alto Adige mentre nel resto d’Italia la spasmodica attesa si protrarrà, come detto, ancora una manciata di giorni. Continueremo con i bavaglini all’aria aperta. Così, perché è giusto, perché “è la legge”, perché “Iddio lo vuole”, perché è santissimamente santo. E’ ovvio che non ci sia alcuna necessità ma quello che permane, reiterando il nonsense, è la supina fedeltà a Sua Maestà la Paura, sorella all’ottusità, madre della burocrazia che tutto riduce al fancazzismo dell’amministrazione, nonché figlia della più bieca ignoranza sempre di casa tra i novelli caporali quotidianamente eletti a signori di moralità e buon costume nella nuova normalità da costoro incarnata (e da essa obnubilati).
Poi, se vogliamo, c’è anche il dibattito politico attorno al tema. Alquanto sterile e vacuo, palesemente utilizzato come arma di distrazione di massa per distogliere la pubblica opinione dal vero obiettivo di fondo: rendere calma e placida la gabbia di modo che i prigionieri quasi non si accorgano di esservi finiti. Con buona pace di quei diritti sociali da non più rivendicare. In tanti, non barbari individui dal collo taurino istiganti l’odio e la violenza di strada ma individui senzienti e pure se vogliamo poco originali, la lurida pezza l’hanno già tolta da tempo (almeno fuori casa), senza attendere il permesso di Speranza o di qualche fattucchiere travestito da esperto. Ma quel che più suscita domande (presso coloro che da sempre cercano prima di tutto di farsele) è che non si afferma apertis verbis di buttarle via: perché il business accertato dietro la vendita di questi gadget è ormai troppo grande per essere fermato; perché è un simbolo, come ha candidamente ammesso persino Pregliasco. E i simboli, una volta sdoganati, trasformati in mode e vissuti come abitudini, sono ardui da revocare.
Il combinato business/simbolo è letale. In molti si affanneranno a chiedere di “mascherarsi” ancora. Ad emergenza finita o meno.
Classe 1985, milanese di nascita e di crescita (il cognome, del resto, lo testimonia), spendo la vita in occupazioni perfettamente inutili e passioni meravigliosamente crudeli, di quelle, per intenderci, “che non ti portano da nessuna parte”. Appassionato studioso di storia, unica scienza capace di leggere il presente e predire il futuro, ha narrato le vite di grandi figure del passato accarezzate dal vento della pazzia attraverso il podcast La Festa dei Folli (che proseguirà). Per Pensiero Verticale, oltre che del coordinamento generale del progetto, cura i programmi web-radio I podcast di Pensiero Verticale e Zambracca.