Grooming gangs, una britannica oscenità
Che il Regno Unito, almeno da una trentina d’anni, sia diventato il simbolo del tracollo vertiginoso dei cosiddetti valori occidentali (persino peggio degli Stati Uniti, dove almeno il fenomeno Trump ha mostrato prepotentemente il volto dell’America profonda) è ormai cosa nota, ma quello che è emerso recentemente riguardo al fenomeno delle “grooming gangs” (letteralmente “gang di adescatori”) è un qualcosa che va ben oltre ogni possibile incubo lontanamente immaginabile.
Visto che da noi se ne è parlato gran poco (evidentemente non tocca le femministe nostrane…), per chi non ne fosse a conoscenza, a partire dagli anni ’90 in vaste aree dell’Inghilterra (con una particolare concentrazione nella Greater Manchester) centinaia, o più verosimilmente migliaia, di adolescenti bianche sono state adescate fuori dalle scuole da gang composte da uomini islamici (per lo più pakistani), per poi essere seviziate, costrette in schiavitù e indotte alla prostituzione.
Ma come è possibile che un simile barbaro sistema di siffatte proporzioni abbia potuto passare per lo più inosservato e proliferare per quasi trent’anni, nonostante un documentario di Channel 4 già nei primi anni duemila avesse mostrato all’opinione pubblica la gravità del problema? Semplice, sia i laburisti che i tories per molto tempo hanno infilato la testa sotto la sabbia, allo scopo di non far crescere il sentimento anti islamico e anti immigrazione nella popolazione, limitandosi quindi a perseguire qualche singolo caso, trattato quindi come un fenomeno isolato.
UN CIECO FANATISMO ANTIRAZZISTA
Ora però il Vaso di Pandora pare essersi scoperchiato almeno in UK e tutti questi indicibili orrori stanno uscendo allo scoperto, con l’attuale premier laburista Keir Starmer che ha dovuto ammettere pubblicamente, durante il suo periodo a capo delle Public Prosecutions (l’ente che decide le incriminazioni, in buona sostanza), di avere chiuso non uno ma entrambi gli occhi per non venire accusato di razzismo!
Tutto questo è talmente incredibile, ma ci dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, quanta necessità ci sia di liberarsi del cosiddetto “senso di colpa bianco” che permea purtroppo ormai gran parte dell’Occidente, impedendo agli stati di compiere il loro principale dovere, vale a dire quello di difendere i propri cittadini. Molto probabilmente siamo già ben oltre il punto di non ritorno, ma non è comunque una buona ragione per arrendersi.
Nato nel 1975 a Brescia, è cresciuto tra Bergamo e Milano prima di appendere il cappello a Verona. Ama il calcio, il wrestling, il golf ed il cricket. Oltre alle sottoculture un tempo giovanili.
Scrive per professione e fa il dj per passione.
Collabora con Il Primato Nazionale e Tuttowrestling. È autore del libro Vivere Casualmente.
Crede che non ci sia un domani ma è pronto ad essere smentito.