Il “complesso di Jesse Owens”
a cura di KEK_KILLS_MOLOCH
In una società che valuta la storia principalmente attraverso la lente dei vincitori, il caso di Jesse Owens fornisce un esempio straordinario di come le narrazioni storiche possano essere distorte per servire fini politici, dando vita a quello che qui definiremo come “il complesso di Jesse Owens”. Questa espressione cattura la tendenza di manipolare le figure storiche, come Owens, per scopi ideologici, ignorando la verità ma soprattutto le sue continue smentite.
Jesse Owens, atleta afroamericano nato in Alabama, salì alla ribalta internazionale durante le Olimpiadi del 1936 a Berlino, dove conquistò quattro medaglie d’oro. Questa straordinaria impresa sportiva lo trasformò in un simbolo di resistenza contro le politiche razziali di Adolf Hitler.
Tuttavia, la narrazione propagandistica che si è sviluppata intorno a Owens e il suo presunto confronto con Hitler è una menzogna da lui stesso smentita. Contrariamente a quanto propinato da spot pubblicitari, film e documentari, Owens stesso negò che Hitler lo avesse snobbato, i riferimenti sono addirittura presenti su wikipedia: «Dopo essere sceso dal podio del vincitore, passai davanti alla tribuna d’onore per rientrare negli spogliatoi. Il Cancelliere tedesco mi fissò, si alzò e mi salutò agitando la mano. Io feci altrettanto, rispondendo al saluto. Penso che giornalisti e scrittori mostrarono cattivo gusto inventando poi un’ostilità che non ci fu affatto.» (Jesse Owens, The Jesse Owens Story, 1970).
Il fatto venne confermato anche da Eric Brown (1919–2016), pilota della Fleet Air Arm, che nel 2014 dichiarò in un documentario della BBC: «Sono stato testimone del saluto a Jesse Owens di Hitler, il quale si congratulò con lui per i risultati raggiunti.» (Eric Brown, Britain’s Greatest Pilot: The Extraordinary Story of Captain Winkle Brown)
Ed è nota anche l’amicizia che legò Owens a Luz Long, amico tedesco e avversario sportivo di Jesse Owens, colui che arrivò secondo e salutò con il saluto nazista dal podio, lui che incontrò un tragico destino durante la Seconda Guerra Mondiale. Morì a soli trent’anni nella difesa delle Sicilia, dove era di stanza a Niscemi con la divisione corazzata “Hermann Göring” e fu coinvolto nei combattimenti presso l’aeroporto di Biscari-Santo Pietro.
Il legame tra Long e Owens, tuttavia, sopravvisse alla guerra e ai decenni. Prima della sua morte, Long scrisse una lettera a Owens, chiedendogli di parlare a suo figlio di lui. Owens onorò questa richiesta, mantenendo un legame con la famiglia di Long e partecipando persino alle nozze del figlio di Luz.
Questi dettagli, spesso occultati dai racconti storici e dai media, svelano una realtà molto più complessa e meno polarizzata: nell’unica biografia di Owens, lo stesso mette in luce non solo le sue sfide sportive, ma anche le disillusioni che dovette affrontare una volta tornato in America.
Qui emerge un aspetto cruciale e spesso trascurato della storia di Owens: la sua ostracizzazione nel proprio paese. Contrariamente alla narrazione che lo dipinge come celebrato e onorato negli Stati Uniti, Owens non ricevette il minimo riconoscimento dal presidente dell’epoca, Franklin D. Roosevelt (ah sì! Democratico). Questo episodio rappresenta qualcosa di molto significativo dove la verità viene sacrificata sull’altare della convenienza politica.
Nonostante la consapevolezza mediamente diffusa che la narrazione popolare su Owens e Hitler sia una menzogna, questa versione continua a essere promossa, servendo sia come storia a lieto fine sia come patente di trionfo morale ma soprattutto come strumento per rafforzare ideologie e narrazioni politiche contemporanee. La persistenza di questo complesso nel discorso pubblico dimostra come la storia possa essere modellata per servire gli interessi presenti, piuttosto che per rappresentare il passato.
Questo processo non solo distorce la comprensione degli eventi storici, ma ignora la realtà vissuta da individui, sottoponendoci però nello stesso tempo alla colpa. Come se noi fossimo tutti precedentemente i razzisti spietati.
In conclusione, il “complesso di Jesse Owens” serve come provocazione per rendersi conto che chi detiene i mezzi di informazione può anche divulgare i migliori propositi di pace e felicità drogata del mondo, ma manipola la storia e la reinterpreta. Pensiamo con onestà: se un atleta vincesse per uno stato che lo ignora e manipola i suoi successi per fini politici, è veramente un cittadino libero o più uno schiavo? E la colpa di chi sarebbe? Perciò iniziamo a ricordare la figura di Jesse Owens, non come il simbolo della lotta al razzismo ma come un simbolo della lotta contro la manipolazione della storia. Owens è un esempio di quanto poco valga una persona e la sua verità di fronte alla tirannide progressista: lo zero assoluto.
Pensiero Verticale è un progetto editoriale esclusivamente telematico dedicato all’approfondimento culturale, all’attualità politica, all’analisi delle dinamiche che muovono confusamente la contemporaneità.