Il Covid si è preso tutto
Dopo poco più di un anno crediamo si possa dire qualcosa di certo: il Covid-19 si è preso tutto. Si è preso noi stessi, innanzitutto. Mai forse un campionario così pregno di scemenze, degno di un’enciclopedia a fascicoli, aveva trovato un tale dispiegamento presso amplissime fasce di popolazione composta perlopiù da ammassi neuronali nel complesso piuttosto mediocri. Il linguaggio corrente ha coniato, com’era prevedibile, nuove terminologie le quali hanno in comune un denominatore chiaramente definito: il nulla cosmico. Perchè proprio non spiegano niente.
Ci siamo immaginati l’infimo virus masturbarsi di gusto con la nostra metafisica della libertà. Noi parliamo di mascherina sì/mascherina no, di chiusure e riaperture yo-yo, di cosa permetterci oppure no, e lui intanto si prende i suoi spazi e rimane, compiaciuto, a farci compagnia. E’ solo grazie a lui, infatti, che il governo ha sempre avuto gioco facile a convincerci che la colpa era tutta nostra, che il coprifuoco non andasse affatto violato “se no dopo le 22 sai che succede”, che se lui ancora circola è perchè abbiamo aggiunto un posto a tavola all’amico in più.
Il Covid-19, insomma, ama la nostra infodemia. Adora il nostro attaccamento al dibattito infinito, alla pisciata del cane, alle dritte del “cuggino” che lavora in ospedale (come infermiere magari, neanche primario), alle preveggenze del grande virologo che prima di interessarsi di Covid si occupava di zanzare. E a ricambiare dell’affetto il virus c’è un’intera classe dirigente che ha avuto gioco facile a tirare la corda, a lasciare che il popolo si dividesse tra allarmisti e negazionisti, fomentando lo scontro sociale prodromico di quello, ben prevedibile, tra i “benedetti” e i “non benedetti”. In assenza di autorità e autorevolezza, cifra dell’attuale classe dirigente italiana ed europea, l’unica via per imporre misure risolutive è quella di far passare i suoi provvedimenti per extrema ratio. Rispetto alla responsabilità piena e rischiosa dei piani preventivi, è meglio buttarla sulla guerra strisciante tra garantiti e non garantiti, delle chiusure e delle mezze riaperture, del balsamo dei “ristori” che arriveranno e salveranno capre (tante) e cavoli (di più).
Poi, in ultimo, c’è la speranza, caratteristica fondamentale delle società occidentali. E tutto finirà come stiamo già vedendo. Abbiamo pregato l’arrivo salvifico del “siero benedetto”, ovvero quel grimaldello grazie al quale rispaccare, questa volta non senza spargimento di odio e risentimento violento, gli individui tra quelli che l’hanno ricevuto e quelli che, per scelta, non l’hanno ricevuto. Badando bene a non immunizzare completamente la popolazione, di modo da garantirsi sempre il nemico contro cui poter scagliare le saette della scomunica in occasione delle prossime ondate di contagi. In omaggio alla libertà: parola di cui davvero, oggi più di ieri, non sappiamo che farcene.
Classe 1985, milanese di nascita e di crescita (il cognome, del resto, lo testimonia), spendo la vita in occupazioni perfettamente inutili e passioni meravigliosamente crudeli, di quelle, per intenderci, “che non ti portano da nessuna parte”. Appassionato studioso di storia, unica scienza capace di leggere il presente e predire il futuro, ha narrato le vite di grandi figure del passato accarezzate dal vento della pazzia attraverso il podcast La Festa dei Folli (che proseguirà). Per Pensiero Verticale, oltre che del coordinamento generale del progetto, cura i programmi web-radio I podcast di Pensiero Verticale e Zambracca.