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Il filosofo “cieco per scelta”

| Gianluca Kamal |

Emanuele Franz non è un tipo facilmente inquadrabile (e, scrivendo così, siamo certi di avergli fatto il più bello e gradito dei complimenti). Imprevedibile, scandaloso, estremo, per alcuni bizzarro, per altri solo un pò eccentrico. Nel 2023 decise di murarsi vivo tra le mura di casa per circa una settimana come atto di denuncia contro quel gigantesco esperimento di digitalizzazione e di ingegnerizzazione dei corpi che abbiamo visto così lucidamente dispiegarsi durante la pandemia da Covid-19 di cui certo ha rappresentato l’epifenomeno. L’anno prima, vestito con un sacco di iuta, una lanterna a illuminare fiocamente l’esiguo spazio, un fornelletto per cucinarsi il minimo indispensabile, fece di un cassonetto dell’immondizia il proprio improvvisato giaciglio all’interno del quale trascorse svariati giorni leggendo e scrivendo. E tutto questo per denunciare la caducità della condizione umana; un attacco al consumismo, alla mentalità dominante di una società votata alla commercializzazione persino dei sentimenti e delle più intime volontà dell’essere umano, con un invito a fuggire la vanagloria e la ricchezza. Prima ancora l’ideazione del premio Divoc, primo e unico premio di scrittura riservato ai non vaccinati, il cui lo stesso titolo (Divoc è Covid al contrario) stava a simboleggiare la volontà di rovesciare l’attuale società del “sorvegliare e punire”.

UNA SETTIMANA AL BUIO

Prima il corpo, ora gli occhi. Da qualche giorno e per una intera settimana, infatti, questo pazzo filosofo, autore di innumerevoli titoli che vanno dalla teologia all’analisi socio-politica, ha deciso di togliersi volontariamente la vista in segno di protesta contro la società delle immagini, ossia contro “una società che ci ha resi tutti ciechi gli uni agli altri, una società in cui il culto della immagini ha sostituito il vero contatto umano”. Immerso nell’oscurità, richiamandosi alla vista interiore e ispirato dall’esempio di Tiresia, il veggente cieco che raggiunge la saggezza, e dei Salmi, che invitano a chiudere gli occhi per fuggire dall’ingiustizia e volgere lo sguardo unicamente a Dio, è l’umanità cieca a ogni empatia e ormai irrimediabilmente disconnessa nelle relazioni interpersonali l’autentico bersaglio della nuova provocazione civile di Franz. Che ci colpisce, ci interroga, ci spoglia dinanzi alle fredde logiche di una società in disarmo.

VOX CLAMANTIS IN DESERTO

Ma cosa può restare del singolo che si decide per azioni tanto temerarie quanto, in un certo senso, più spettacolari della società che si pretenderebbe di combattere? Per rivelarsi davvero efficace un vero cambiamento può passare per isolati esempi personali in luogo di una presa di coscienza e di un’insorgenza collettive? E’ la particolarità inaudita del tempo storico che viviamo a farci propendere per una risposta positiva, nonostante le cautele e i dovuti distinguo operabili in tal senso. Quando a essere messo in discussione non è un sistema politico ma il cardine stesso attorno al quale tutto si forma e tutto ha sviluppo, l’essere umano; quando la stessa dimensione sociale della persona pare schiacciata dal culto idolatrico dell’individuo senza radici e senza orizzonti, diviene necessario (ri)cominciare da sè, ovvero dalla nostra più autentica natura. Facendo germogliare dubbi, nutrendo il pensiero, alimentando consapevolezza. E dunque, come la poesia si sublima nel restituire al mondo immagini complesse in forme armoniose, così Emanuele Franz, l'”eremita della modernità”, riesce con la forza dell’esempio a renderci comprensibili i tratti salienti della mutazione antropologica in atto. Senza paura di ritrovarsi solo testimoniando null’altro che la verità della propria stessa esistenza.

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