Il reato universale di abbassare la guardia
In un’aula del Senato trasformata in un circo di nani (morali) e ballerine (di fatto), la maternità surrogata è divenuta ufficialmente “reato universale”. La Gestazione per altri, nuovo termine coniato dall’infaticabile laboratorio d’ingegneria del linguaggio contemporaneo, sarà dunque punibile anche se un cittadino italiano vi ricorrerà in uno Stato in cui la pratica dell’utero in affitto è legale. Le pene sono severe: da tre mesi a due anni, a cui si aggiunge una multa da 600mila euro a un milione di euro. Niente male per un governo largamente deficitario in fatto di difesa degli interessi italiani nel mondo, tra guerre commissionate da altri e pagate dai soliti fessi, come da pluridecennale tradizione.
SFRUTTAMENTO E MERCIFICAZIONE
La giornata di frizzi e lazzi per un provvedimento che, in un modo o nell’altro, farà storia, registra però un dato di stupefacente (ma fino a quanto?) evidenza: gli echi frastornanti di una sinistra, parlamentare e non, in stato di collera per il via libera a quello che persino parte consistente del bel mondo antico femminista non ha faticato a definire come giustificate e legittimo provvedimento (che altro non è che l’opporsi alla mistificazione dello sfruttamento della donna all’autogestione uterina). Si guardi e si ascolti cosa è stato profferito in un’aula parlamentare: “assedio giuridico”, “legge medievale”, “Posso donare un rene e non offrire il mio utero?, Di chi è, di Giorgia?”, “volgare speculazione sulla pelle dei bambini”, “atto disumano contro genitori e bambini, che alimenta solo stigma e discriminazione”, “pagina nerissima, per i diritti e per le libertà”, “legge liberticida e inapplicabile che non fermerà le coppie gay”, sullo sfondo canoro di strepiti carnevaleschi ben degni di quel “gran pollaio” di primonovecentesca memoria. Quella da (quasi) tutti riconosciuta come un’oggettiva e indiscutibile pratica disumana muta di colpo, nella crudele schermaglia dialettica, in un “diritto negato”, in un “divieto di essere felici”. Massimo Giannini, direttore di Repubblica, non può credere al fatto che “volere figli sia considerato reato universale”. Una donna, lautamente pagata da omosessuali in fregola egoistica di imitare la naturale fecondità propria degli eterosessuali, presta il proprio utero per portare avanti una gravidanza in favore di individui di cui ha soltanto conosciuto l’importo che scuciranno per il “favore” a loro concesso. Un bimbo nasce, verrà impacchettato e recapitato ai suoi acquirenti i quali, con la felicità di chi vede esaudirsi il sogno, a lungo covato, di accaparrarsi l’ultimo modello di supercilindrata, cominceranno la loro drammatica commedia di genitori “uniti soltanto dall’amore”.
LE FINESTRE (SPALANCATE) DI OVERTON
Cosa significa l’isteria, francamente inattesa, manifestatasi nelle ultime ore? Certo, al di là dei transeunti contesti storici del passato che giustificavano la sinistra come luogo politico della giustizia sociale, la conferma dell’essenza vera e profonda della modernità occidentale ossia l’individualismo prometeico inteso come assalto al Cielo per l’autodeificazione dell’uomo. E come può avanzare questo indicibile progetto? Spalancando inesorabilmente le non ancora tante finestre di Overton che ci separano dall’abisso. L’inconcepibile ed estremo è divenuto prima accettabile, poi ragionevole, domani diffuso e, infine, legalizzato. Come per il fenomeno, un tempo aberrante, della pedofilia, è del tutto immaginabile l’approdo allo stadio di “normalità” anche della maternità surrogata. La rimodulazione del termine in Gestazione per altri, di ben altra accezione rispetto a “utero in affitto”, ne può essere un primo, chiaro indizio. Lecito rallegrarsi per lo scatto di coraggio di un governo, ma il vero “reato” sarebbe oggi quello di fermarsi all’enunciazione di un principio e di una scelta di campo calando la guardia rispetto ad un’offensiva che, senza abbandonarsi alla derisione nei confronti degli starnazzamenti di uno stormo di oche sudate, pare finalmente aver svelato i suoi scopi più diabolici.
Classe 1985, milanese di nascita e di crescita (il cognome, del resto, lo testimonia), spendo la vita in occupazioni perfettamente inutili e passioni meravigliosamente crudeli, di quelle, per intenderci, “che non ti portano da nessuna parte”. Appassionato studioso di storia, unica scienza capace di leggere il presente e predire il futuro, ha narrato le vite di grandi figure del passato accarezzate dal vento della pazzia attraverso il podcast La Festa dei Folli (che proseguirà). Per Pensiero Verticale, oltre che del coordinamento generale del progetto, cura i programmi web-radio I podcast di Pensiero Verticale e Zambracca.