La bellezza tramontata
Saper fare di una città un museo a cielo aperto è un’arte tutta italiana, che affonda le sue radici estetiche nella civiltà classica greco-romana e che in questo paese trova il luogo perfetto di espressione artistica.
È la bellezza, fonte sorgiva di ogni creazione, che ha dato i natali alla nostra cultura occidentale (europea e italiana), che ne ha edificato le città e i luoghi sacri, che ha forgiato la poesia e la pittura contro ogni bruttura del mondo. Dal bianco delle colonne greche della Sicilia alla geometria perfetta dell’Urbe, dalle possenti torri medievali che squarciano il cielo al rosso dei mattoni delle piazze rinascimentali, la bellezza, eco della voce di Venere, riverbera come musica celestiale in tutte le città italiane, riecheggia tra le vette dei monti e, passando per tutte le strade, risuona negli azzurri mari d’Italia. Belli sono i suoi paesaggi, belli i suoi edifici. Bella la sua storia millenaria che pulsa nelle nostre vene.
Eppure dove c’è stata tanta bellezza, c’è anche spazio per il brutto. Il brutto è un concetto estetico che gli antichi hanno affrontato, cantato, messo per iscritto in tragedie epiche divenute archivi immensi di cultura per i posteri. La bellezza ha creato il nostro mondo, il brutto ne ha esorcizzato la paura della fine. La letteratura classica mette in scena mostri e personaggi mitologici, che compiono talvolta azioni deplorevoli, come omicidi, infanticidi, incesti e suicidi. I nostri avi conoscevano molto bene le brutture del mondo e le sue sciagure, i vizi dell’uomo e le atrocità che era disposto a compiere e queste venivano mostrificate, come caricature di un’artista di strada, nelle opere d’arte e nelle poesie. I mostri o i personaggi che rappresentavano mali e malvagità erano tutti contrassegnati da caratteristiche dispregiative che venivano accentuate grottescamente, spesso erano deformi e innaturali. Ciò aveva uno scopo per preciso: mettere in evidenza il male, l’orrido, il brutto, al fine di saperlo riconoscere.
L’uomo del passato sapeva distinguere il bello dal brutto, il bene dal male, e tali canoni estetici- valoriali erano ben interiorizzati in ciascuno, e gli artisti e i poeti ne sapevano esemplificare, disegnare, rappresentare, raccontare tutti gli aspetti distinguendoli con estrema precisione. Cosciente dell’opposizione che intercorreva tra queste categorie assiologiche, l’uomo antico sapeva magistralmente dare uno spazio giusto e degno ad entrambi. La bellezza utile a costruire il mondo e a renderlo più buono oltre che più perfetto esteticamente, in una tensione prometeica che spingeva a tendere verso il miglioramento, e il brutto che era l’esatto opposto, qualcosa di mostruoso, che però esisteva e andava riconosciuto e distinto dal bene. Addirittura, vi è un estetica del brutto che fa da filo di Arianna attraverso tutta la letteratura classica: il brutto rappresentato nell’arte e nella poesia ha un effetto catartico per gli uomini, serviva a conoscere la parte oscura che ognuno porta con sè e a liberarsene, attraverso la rappresentazione del brutto ci si poteva immergere nell’abisso per riemergere trasmutati, rinnovati. Ecco perché i greci amavano la tragedia, per il suo effetto esorcizzante delle paure interiori che agiva sulla psiche degli uomini.
Ora questo gusto va perdendosi, il bello si confonde con il brutto e talvolta il brutto non è più un mostro dal quale rifuggire ma qualcosa verso cui tendere, o a cui assomigliare. Nella contemporaneità è divenuto bello il brutto, mentre la bellezza svanisce, imprigionata come una dama di altri tempi nelle mura austere di un borgo abbandonato.
Ogni arte è destinata ad un peggioramento inesorabile, la pittura è ridotta a qualche schizzo di colore su una tela, gli edifici pubblici sono tutti ugualmente grigi e senz’anima, il cinema è morto da tempo. L’arte che era veicolo di bellezza e di gusto estetico, è ridotta a propagatore di idee moderne tutt’altro che all’avanguardia, contenitore di tutte le brutture e gli orrori di questo mondo. L’arte che era elevazione al Divino, sua manifestazione e suo compimento, diventa materiale, di infima bassezza e di cattivo gusto. Se la bellezza salverà il mondo, il brutto lo affosserà.
Il suo nome è Claudia, ama così tanto la filosofia che si è laureata pur sapendo che la sua sublime “inutilità” non l’avrebbe portata a nulla di buono sul piano professionale, e anche per questa ragione Pensiero Verticale è divenuta la sua oasi dove poter liberamente filosofeggiare.
Ma c’è dell’altro, ovvero tantissime altre cose inutili e antiscientifiche che venera: la poesia, l’arte e l’astrologia. È un’anima antica, tutta languore e culto delle rovine. È profondamente innamorata del mare e cerca la verità in ogni cosa.