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La fabbrica (milionaria) delle illusioni

| Redazione |

La luce perfetta, si intravede il letto di un ospedale, quasi a voler sentire il profumo del parto, la commozione di fronte al miracolo della vita.

Solo che si tratta di un set cinematografico; la scena è tutta loro, lo scatto è preparato da tempo; la puerpera? Non pervenuta.

La progredita unione domestica Buttigieg & Chasten può finalmente fregiarsi di avere ottenuto due minori sui quali esercitare diritto legale di tutela sino a maggiore età.

Petulante e petalosa la grancassa mediatica, dove le voci di -non diciamo- dissenso ma quantomeno di critica vanno ricercate col lanternino: ottimo, meraviglioso bravi, l’amore vince.

Ma che cos’è l’amor? Chiedilo alla porta. Ad una società dove l’attenzione verso l’amore paterno e materno assomiglia alla plafoniera di un vecchio neon in qualche scantinato: si accende piano e male, emette uno tenue spettro di luce distorta; poi perde corrente in modo subitaneo, resta inerte suscitando persino la pena; si risveglia, produce qualche flash, poi finirà a fulminarsi del tutto.

Un mondo che accende i riflettori quando un’unione domestica omosessuale acquista in qualche modo diritti legali su un bambino, ed è tutto un gaudium magnum; un mondo che li spegne, indifferente e accidioso, quando un uomo ed una donna mescolano il proprio sangue per dare principio alla propria discendenza. E lì comincia una sconcertante tiritera sul “è nato un bimbo, e chi se ne frega, tanto siamo già in troppi…” detta da coloro che predicano la morte dell’essere umano senza darne poi buon esempio in prima persona. Insomma meglio che moriamo tutti, ma vi prego dopo di voi.

Non è l’istituto dell’adozione che critichiamo. Non lo faremo mai, altrimenti occorrerebbe dare un senso all’aborto ed all’infanticidio.
Non si critica nemmeno la scelta della madre di non assumersi la responsabilità della propria prole. Non lo faremmo mai, altrimenti occorrerebbe dare un senso all’adozione di cui sopra.
Però c’è un punto che non ammette dei distinguo, un punto che segna un limes dove nessun tuffo carpiato semantico potrà mai prendere la sufficienza dinnanzi alla giuria dell’etica.

Ciò che non perdoniamo ai due signori nella fotografia è di aver tolto a quei bambini la parola “mamma” dalla loro vita. Penelope e Joseph cresceranno, vivranno e infine moriranno, senza mai conoscere il contatto con il dolce seno di una madre o di una donna che potrebbero mai chiamare tale, anche senza la biologia in quei disperati casi dove l’adozione sia l’ultima barricata contro l’infanticidio.

A meno, ovviamente, che uno dei due soci della premiata ditta Buttigieg non decida un giorno di cambiare “genere” e di sdraiarsi al banco di un chirurgo per colmare invano col silicone il vuoto della carne e della genetica. Ma forse ai due bimbi, ancora ignari di tutto questo, sarà meglio risparmiargli questo ultimo atto del dramma.

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