La Francia in fiamme, l’Europa agonizza
Le rivolte scoppiate in Francia a seguito dell’omicidio del 17enne Nahel durano ininterrotte da più di una settimana. Altri due morti, saccheggi e incendi (se ne contano oltre 40mila) stanno devastando le città francesi in un clima da guerra civile. I focolai delle manifestazioni violente partono dalle banlieue, da quei giovani figli dell’immigrazione forzata che imperversano da giorni nei centri cittadini. Chiedono giustizia per un loro coetaneo ucciso da un poliziotto (Nahel era un cittadino francese di origini nordafricane), ma a emergere dalle rivolte è in primis lo scontro culturale e socio-economico.
A fare la guerra allo Stato francese, in questi giorni, ci sono soprattutto persone povere e non integrate, “c’è la storia di un impero coloniale finito con una guerra lacerante e sanguinosa, di una integrazione culturale drammaticamente fallita, di una crisi profonda che non è semplicemente sociale o economica. È una crisi esistenziale” (cit. prof. Rosario Forlenza). Le immagini di numerose strade e piazze francesi dove migliaia di manifestanti hanno issato bandiere algerine e marocchine sono emblematiche. Il senso di identità non si può annullare, altrimenti riemergerà con forza e, in questo caso, violenza. I fatti francesi dimostrano il fallimento dell’assimilazionismo: le culture non si possono integrare (annullandosi), ma possono convivere? La rivolta delle banlieue è un atto di guerra contro le istituzioni francesi o contro la Francia (e l’Europa)?
Se Oltralpe le recenti rivolte hanno portato allo scoperto grandi divisioni politiche sul tema, in Italia – nazione ancora immune dai numeri travolgenti delle periferie francesi e nord-europee – uno spettacolo imbarazzante è stato offerto da presunti giornalisti nostrani. Anziché preoccuparsi dell’espansione di fenomeni simili nel Belpaese (pensiamo ai quartieri di San Siro e Barriera di Milano a Torino), la loro preoccupazione è stata solo quella delle “violenze razziste” (sic) dei movimenti nazionalisti francesi contro i manifestanti. Già, i “manifestanti”.
Nato, cresciuto, vivente in Italia. Coniugando idee e scrittura. Il politicamente corretto non abita qui.