La sdoganata estetica del male
Il cattivo gusto che anima la società contemporanea non è solo un fatto estetico, ma qualcosa di molto più profondo. L’ostilità sempre più diffusa verso i valori cristiani ha spalancato le porte a una vera e propria “estetica del male” che insidia anche i più giovani. Si ricorderà il pupazzo Huggy Wuggy, “figlio” di un videogioco horror. Dall’aspetto inquietante, con braccia lunghissime e denti aguzzi che sporgono da una bocca rossa, il suo nome deriva da “hug”, abbraccio, come a voler stringere chi se lo trova tra le mani. Il macabro pupazzo ha avuto un grande successo di mercato, finché è stato riconosciuto come un giocattolo pericoloso per i bambini. E non materialmente, ma perché ha provocato ansie, paure, rischi di emulazione.
E poi la moda. In mezzo al loro lusso, le grandi case di “stile” hanno dimostrato di potersi impegnare anche per difendere le cause più discutibili. Gucci, pochi anni fa, non potè fare a meno di spiegare al mondo quanto – per loro – fosse buona e giusta la possibilità di abortire. “My body, my choice”, una sfilata dedicata e altre prese di posizione in difesa di questo “diritto”.
Ancor prima, il marchio Nununu, in collaborazione con la cantante Céline Dion, lanciò una linea di abbigliamento il cui proposito era di liberare i bambini dalla dicotomia “blu per i ragazzi/rosa per le ragazze”, permettendogli di “trovare la propria vera essenza, libera da stereotipi e norme”. Ed ecco magliette per bambine con la scritta “Ho” (puttana, in inglese), altre con un inquietante “New Order” in bella mostra e pubblicità con subdoli messaggi sessuali verso i più piccoli e di chiara propaganda “gender free”.
Più recentemente ci si è messa anche Balenciaga, che ha lanciato una campagna pubblicitaria con dei bambini circondati da pupazzi ornati con oggetti sadomaso e documenti legati ai reati pedopornografici. La casa di moda ha scaricato le responsabilità sulla produzione, ma non ha evitato uno scandalo.
L’estetica del maligno che minaccia l’innocenza dei bambini è sicuramente la peggiore, ma la sua presenza è ben radicata anche altrove. Si pensi ai testi di certa musica giovanile, in cui ogni sorta di malefatta è la cosa giusta, e ancora alle serie fruibili su Netflix, dove il diavolo è “umanizzato” e protagonista.
Nella sua etimologia, la parola diavolo deriva da diabŏlus, traduzione latina del greco Διάβολος, diábolos, (“dividere”, “colui che divide”, “calunniatore”, “accusatore”). E il maligno, più o meno visibile, è proprio quello che vuole dividere: le madri dai figli, i bambini dall’innocenza, gli uomini da Dio e dalla loro natura. Sono tempi cattivi, il bene non sta più “bene”. Conoscere il male, se non altro, potrà servirci a non farlo prevalere.
Nato, cresciuto, vivente in Italia. Coniugando idee e scrittura. Il politicamente corretto non abita qui.