L’INTERVISTA / “Il Vittoriale, luogo “totale” di una vita inimitabile”
Con il prof. Marco Cimmino, più volte soffermatosi sulla figura del Vate, viaggiamo dentro i significati e gli enigmi di quel grande “libro di pietre vive” sulle rive del Garda. Anche dopo un secolo essi non smettono di affascinare milioni di visitatori ogni anno.
Al Vittoriale non vi è solo e soltanto l’impronta dello stile di uno degli spiriti magni d’Italia, ma quasi la traccia di un manifesto di vita, di un dichiarazione al mondo. Potresti provare a spiegarci meglio di cosa si tratta?
Il Vittoriale è la rappresentazione plastica di un’idea: non di un’idea di casa, ma di una visione delle cose, di una precisa Weltanschauung. Originariamente, villa Maroni era una bella casa in collina, come ce ne sono tante sulle rive del Garda: GdA l’ha trasformata in un luogo “totale”. Museo e buen retiro, mausoleo e centro di cultura: in un certo senso, ha modellato la casa come se fosse il proprio corpo, organizzandone il cerimoniale, fino al proprio letto funebre. Ma non la concepiva come sua: era un luogo d’Italia e all’Italia sarebbe tornato. Era anche una prigione, in un certo senso: come il suo corpo invecchiato imprigionava la sua anima, eternamente giovane. D’Annunzio si presta a interpretazioni eccessive, nel bene e nel male: il Vittoriale, al di là degli aspetti simbolici e, talvolta stravaganti, è soprattutto il laboratorio di un grande intellettuale e di un indefesso lavoratore. La sostanza di D’Annunzio, tanto quanto la Capponcina ne era l’apparenza. Insomma, lì si può incontrare un D’Annunzio meno estremo, meno esibito: un poeta e uno scrittore dedito alla propria fatica con grande metodo e impegno. Il D’Annunzio che la gente meno avvertita non immagina nemmeno.
Il visitatore di oggi, la “gente semplice” potremmo semplificare, rimane ancora attonito dall’atmosfera che regna in quel luogo così particolare. Che cosa serve per capire appieno il Vittoriale?
Veramente, al Vittoriale arriva un po’ di tutto: la definizione di “gente semplice” rischia di essere fuorviante. Vi giunge, certamente, gente curiosa e, tutto sommato, affascinata dalla figura del poeta: a costoro il Vittoriale offre suggestioni straordinarie, anche se, forse, non sempre autentiche. Insomma, trovano quello che ci volevano trovare. Ma ci sono anche i fannulloni indomenicati o, peggio ancora, gli sbruffoncelli che pensano di saperla lunga per aver letto “Pastori d’Abruzzo” e “La pioggia nel pineto”: quelli che spiegano alla fidanzata la faccenda del Mascheraio o quella della costola segata. La spazzatura dannunziana, per così dire: maleducazione culturale, che ancora affligge la scuola, ad esempio. Io credo che, per capire il Vittoriale, ammesso che ci si riesca, occorra visitarlo con animo puro: scevro da pregiudizi. Cercare il D’Annunzio quotidiano: quello dei piccoli riti, non quello della cheli o dell’acqua pazza. E lasciarsi pervadere dalla grandezza della sua visione, dalla sua magnifica libertà, dal suo coraggio inesauribile. Liberi anche noi e, per un attimo, anche noi magnifici.
Quel “disobbedisco!” tuonato nei giorni di Fiume è ancora tutto là, con il suo carico di rivoluzione e di sogno. Cerchiamo di capire cosa ci fosse dietro quella parola d’ordine?
Innanzitutto, c’è un Garibaldi che non si piega: c’è un repubblicano indomito. Fiume aveva, in un certo senso, drogato D’Annunzio: lo aveva trasportato in una dimensione mistica della storia. E nessuno, né il Re né Mussolini né, men che meno Giolitti o il “cagoia”, avrebbero potuto distoglierlo da quel sogno che era quasi una visione oppiacea. Nel suo disobbedire c’è tutto D’Annunzio: intollerante delle regole, individuo tra individui, venturiero senza ventura, cavaliere errante. E la sua volontà di distinguersi, fortissima. Anche per questo trovo ridicole le polemiche circa il presunto fascismo dannunziano: D’Annunzio non avrebbe mai ammesso un Duce che non fosse lui stesso. E, quindi, l’anarchico e il militare, il giorno e la notte, si mescolano in quel disobbedisco: è la risposta alla mediocrità e al conformismo di un uomo libero, che non si piega davanti a nessun ukaze, ma che si inginocchia di fronte al Tricolore e alla Patria. Un umile, orgogliosissimo, fante.
Classe 1985, milanese di nascita e di crescita (il cognome, del resto, lo testimonia), spendo la vita in occupazioni perfettamente inutili e passioni meravigliosamente crudeli, di quelle, per intenderci, “che non ti portano da nessuna parte”. Appassionato studioso di storia, unica scienza capace di leggere il presente e predire il futuro, ha narrato le vite di grandi figure del passato accarezzate dal vento della pazzia attraverso il podcast La Festa dei Folli (che proseguirà). Per Pensiero Verticale, oltre che del coordinamento generale del progetto, cura i programmi web-radio I podcast di Pensiero Verticale e Zambracca.