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L’intervista/ “In quel Disobbedisco il guanto di sfida di chi fa la storia”

Conversando con Pietro Cappellari, ricercatore e saggista, autore di “D’Annunzio in libertà”, volume appena pubblicato sui controversi rapporti tra il Vate e il fascismo, oltre le malevole interpretazioni “politicamente corrette”

Da pochissimo abbiamo celebrato il centenario dell’impresa di Fiume (1919-2019) e nel 2018 quello della fine del primo conflitto mondiale: a che punto siamo con la ricerca storiografica su questi due fondamentali eventi della nostra storia patria?

La storiografia, come è logico che sia, è andata avanti. La molteplicità degli studi è un sintomo positivo, anche se in questi ultimi anni è iniziata una vera e propria marcia indietro. La “politica della storia” portata avanti dal PCI, che dopo la caduta del Muro di Protezione Antifascista di Berlino era venuta meno, sembra ricomparire all’orizzonte, ancor più minacciosa e, ovviamente, rancorosa. La sinistra in generale si è sclerotizzata nella ricerca del “comune nemico” per tenere insieme le sue traballanti fazioni e fissare un punto: quella della sua superiorità morale. L’accusa di “revisionismo” non è concetto accademico, ma intimamente politico. Tutti gli storici sono revisionisti, se non fossero tali non sarebbero storici, ma solo narratori di quello scritto da altri. Ma qui è la politica che entra con la sua violenza. Perché la sinistra può vantare una superiorità morale solo violentando la storia, mentendo sapendo di mentire. Ecco perché la “storia” diventa “cosa loro” e come gelosi mafiosi si comportano. E allora l’accusa di revisionista è l’accusa che si fa non a uno storico – che ne sorriderebbe -, ma ad un nemico politico. E si sa quale è la soluzione per i revisionisti del comunismo: la morte. Detto questo, avendo la DC lasciato il campo al PCI nell’ambito della cultura, non esiste un’altra storia e quando si avvicinano eventi importanti come quello della Grande Guerra – che oltre ad una riflessione storica portano con sé un enorme bagaglio di valori – l’intellighenzia bulgara, che colonizza da decenni le nostre università, le scuole e tutti i maggiori mass media, non può che alzare una vera e propria cortina fumogena, modificando i fatti, depotenziando gli eventi, sovvertendo i valori. La mancata celebrazione del Centenario della Vittoria nella Prima Guerra Mondiale da parte delle Istituzioni della Repubblica Italiana è il simbolo chiaro di una sconfitta. Ci si scusi il gioco di parole, ma crediamo che il concetto sia chiarissimo. Quando poi si entra in eventi più prettamente politici come l’Impresa di Fiume allora il collasso è completo. La rimozione fa sempre rima con mistificazione…

Che cosa c’è dietro quel “Disobbedisco”, all’insegna del quale fu vissuta e condotta quegli straordinari 16 mesi di avventura?

Il “disobbedisco” dannunziano è una vera e propria rivoluzione. Fin ad allora, l’adesione ad un concetto “unitario” di sviluppo nazionale, che faceva affidamento sulle istituzioni dello Stato, in primis la Monarchia, aveva un solido fondamento. Real politik o meno, repubblicani s’erano fatti obtorto collo monarchici per necessità di Patria e lo stesso Garibaldi era stato costretto ad “obbedire”. Ora, nel momento in cui queste Istituzioni sembrano aver raggiunto una delle mete più ambite del Risorgimento italiano – la conquista dei Sacri Confini e la disfatta dell’Austria-Ungheria, avviene qualcosa di rivoluzionario: queste istituzioni cominciano a franare sotto il peso della loro inadeguatezza a gestire i frutti della Vittoria, della loro incapacità di comprendere il futuro e guidare una Grande Nazione, sotto i colpi di un vento di progresso e di modernità che le travolge. D’Annunzio è tra i primi che comprende che se le Istituzioni segnano il passo, si andrà avanti da soli. Se le Istituzioni sbarreranno il passo, saranno calpestate. E quell’insolente “disobbedisco” – ad una certa tradizione militare, agli ordini di prestigiosi Generali e, ovviamente, a quelli di una classe politica imbelle e screditata nell’anima dello stesso popolo italiano – non è un capriccio, ma un guanto di sfida di chi sa che ha vinto, che vi è bisogno di una rivoluzione, che il mondo è cambiato… e sarà lui a cambiarlo secondo la propria volontà di potenza.

Qual è, secondo te, la principale eredità che ci ha lasciato l’impresa di Fiume?

Dobbiamo essere seri. L’Impresa di Fiume non ha lasciato nulla all’Italia o agli Italiani. Cancellata dai libri di scuola e oggi ripresa sotto la lente deformante del politicamente corretto: una storia in bianco e nero che viene ridipinta con i colori arcobaleno, a casaccio o, meglio, come vuole chi “paga”. È ovvio che chi ha uno stipendio statale se lo deve pure mantenere e camminare lungo i “campi minati” della storia del nostro passato non è mai una buona idea per chi “tiene
famiglia”. Molto meglio seguire le “indicazioni”. Si pensi alla falsificazione di un d’Annunzio socialista, democratico, drogato, sessuomane, magari latentemente omosessuale, comunque un pervertito. Insomma, d’Annunzio è tutto, deve essere tutto per essere nulla, tranne che “fascista”. Eppure, cinquant’anni fa De Felice aveva ben evidenziato con studi
magistrali ed insuperati – ripetiamo: insuperati – quali furono i rapporti con il Regime, i fascisti e Mussolini. Oggi, tutto questo viene dimenticato, anzi cancellato, per costruire un d’Annunzio che non è mai esistito. Con somma gioia dei pavidi che, finalmente, hanno trovato le “indicazioni” per uscire da quei “campi minati” della storia che citavamo.
Usciranno anche dai “campi minati”, ma anche dalla realtà dei fatti. L’Impresa di Fiume, non a caso, è stata ricordata solo dai movimenti neofascisti che ne hanno fatto la base ideale della propria identità. Al di fuori di questo variegato ambiente – che, comunque, ha sempre guardato a d’Annunzio come un cardine della propria
Weltanschauung – non ci siamo accorti di null’altro, se non si vogliono considerare gli sbadigli di alcune conferenze a livello universitario. Ma, del resto, d’Annunzio non può che essere indigesto ad un sistema in crisi di identità, che manca di eroi, di punti di riferimento, votato al nulla, che marcia verso il nulla. E d’Annunzio è una presenza scomoda, troppo scomoda. Una pietra di paragone impietosa. E questo è assodato. Ma vi è ancora di peggio. D’Annunzio – incarnando l’eversione anarco-nazionalista al sistema democratico- liberale – è un atto di accusa contro questo sistema. Il dito puntato che non teme la sfida del nemico… perché sa che nell’arena riuscirà sempre vittorioso.

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