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L’INTERVISTA / “La partecipazione democratica “da social” ha ucciso la democrazia”

| Gianluca Kamal |

Con Massimo Corsaro, già parlamentare della Repubblica e voce non sempre “ortodossa” del centrodestra che fu, tentiamo un’umile diagnosi della democrazia in Italia (con qualche originale via d’uscita)

Che cosa è successo durante l’emergenza sanitaria? Dentro una crisi di tipo sistemico quale quella che ci appare sempre più nitidamente, quali conseguenze è possibile individuare rispetto al livello di stabilità degli stessi regimi democratici?

I governi di qualunque paese e colore hanno pavidamente scelto la scorciatoia: anziché attrezzarsi per garantire servizi e – ove possibile – continuità lavorativa a chi avendo paura preferiva stare chiuso in casa,hanno scelto di bloccare la circolazione e la vita sociale di tutti ricorrendo a “lockdown” prolungati, forzando i limiti costituzionali e determinando danni a livello economico ben superiori a quelli sanitari. Così anche a chi non aveva timore a muoversi è stato impedito di farlo nel nome di una mai dimostrata tutela dei più paurosi. Senza, peraltro, che la strategia sortisse effetti positivi per il contenimento della pandemia. Unica eccezione il Regno Unito, ma gli inglesi (beati loro!) riconoscono da sempre alle libertà individuali il primato su ogni forma di maledetto collettivismo. In Italia, poi, l’esplosione della pandemia ha coinciso con il governo di un soggetto che sino a pochi mesi prima era solo l’anonimo galoppino di un importante avvocato, il quale non ha saputo resistere alla sbornia mediatica e di potere resa possibile per colpa – è bene non dimenticarlo mai – di una importante componente del centrodestra. Il circo mediatico nazionale, servo per definizione di ogni padrone, si è immediatamente accodato, e l’Italia ha conosciuto una nuova categoria di star: sedicenti scienziati che, ammuffiti nella solitudine dei laboratori, hanno scoperto le luci della ribalta abbandonando le provette per presidiare gli studi televisivi.

Quelli che fino a poco tempo fa erano pensieri “maledetti” partoriti da ristretti circoli anti-sistema oggi divengono questioni cruciali per il nostro futuro politico e sociale, a partire dalla sopravvivenza o meno della democrazia. Ti chiediamo: se non ancora la democrazia, che cosa al suo posto?

Non credo al complottismo, e non sostengo che l’emergenza sia stata creata per arrivare alla situazione in cui ci si trova; ma che abbia rappresentato una ghiotta occasione che chi poteva ha sfruttato appieno, si. La libera circolazione di persone e cose, l’uso della comunicazione immediata, la globalizzazione dei mercati e l’uniformità di prodotti e (ahinoi) pensiero, determinano una trasformazione epocale del peso non inferiore alla rivoluzione industriale; con la differenza che – oggi – i cambiamenti sono repentini e lasciano per strada chi non vi si adegua in tempo. La pandemia è stata solo un acceleratore di questo percorso. Chi si è abituato a fare la spesa online, a ricevere prodotti pagati a minor prezzo direttamente in casa propria, addirittura con la possibilità di restituire il prodotto non gradito, non avrà mai più motivo di tornare in una profumeria, in una libreria, in un negozio di elettronica. Le imprese che hanno organizzato il lavoro a distanza dei dipendenti, non compreranno o affitteranno più sedi in grado di ospitare tutto il personale. Netflix, Amazon Prime e circuiti analoghi hanno messo la parola fine all’esistenza dei cinematografi. Meno relazioni sociali, meno scambio di idee, meno necessità di convincere il prossimo; si va – naturaliter – verso forme di coabitazione più regolate ed omogenee, in cui i modelli vincenti saranno di fatto imposti dai colossi finanziari. E la scandalosa campagna per forzare il ricorso a vaccini di cui la scienza non ha avuto il tempo materiale per indagare gli effetti di medio lungo termine (tanto che lo stato ti chiede di firmare il preventivo scarico di responsabilità per paura di dover risarcire i danni di una cosa che ti vuole imporre) è solo il primo e più evidente banco di prova.

Disprezziamo gli eletti, ma veneriamo le elezioni. Che da 10 anni a questa parte vengono tenute quasi più per sfizio, che non per favorire la reale scelta dei governanti. Forse che, bizzarria dei sistemi elettorali a parte, abbiamo causato noi stessi la frantumazione della democrazia?

Non sono mai stato un fanatico assertore della democrazia moderna, se per questo si intende il diritto di ciascuno di esprimersi e votare su tutto con lo stesso peso di chiunque. La finta agorà mediatica dei social media, sostituendosi ai partiti la cui funzione di formazione selezione ed intermediazione era fondamentale all’equilibrio del sistema, ha amplificato la partecipazione formale della gggèèènte, vanificandone al contempo l’efficacia sostanziale. Il modello che amo è l’oligarchia illuminata, ma mi rendo conto della difficoltà di tradurlo in pratica. Mi accontenterei, come argomento da tempo, di sottoporre l’accesso all’elettorato – attivo e passivo – al superamento di un semplice esame condotto come i quiz per la patente: 1.000 domande di cultura generale, politica ed istituzionale (magari con un approfondimento sul corretto uso dei tempi e modi verbali, atteso che in un paese con dieci anni di scolarizzazione obbligatoria a nessuno dovrebbe essere permesso di non saper parlare), accessibili gratuitamente a tutti per potersi formare; al momento del voto, estrazione casuale di 10 di quelle domande. Se non ne indovini 6, non voti; se non rispondi correttamente a tutte, non puoi essere votato.
Invece, nell’ignoranza sempre più diffusa, diventa un gioco per le oligarchie NON illuminate rendere vano il pronunciamento elettorale, trasferendo in sedi occulte i processi decisionali che determinano la nostra
quotidianità.

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