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Lo spettacolo della morte

A Sara

Purtroppo nelle scorse settimane la mia vita è stata sconvolta da un grave lutto che mi ha portato a considerare come in Occidente sia cambiato radicalmente negli ultimi decenni il modo di rapportarsi con la morte da parte dell’uomo, ma soprattutto della società, la quale essenzialmente passa tra due estremi paradossalmente inconciliabili.

LA MORTE NON ESISTE (O, SE ESISTE, FA AUDIENCE)

Da un lato infatti, a causa della pandemia da Covid, il decesso è praticamente divenuto un tabù: la possibilità della morte era una cosa che andava esclusa in ogni modo, anche grazie all’illusorio tentativo di fermarla con misure restrittive che definire draconiane è dir poco; tutto andava sacrificato in nome di un assurdo rischio zero e chi osava protestare era etichettato come “complottista”. Dall’altro lato invece da anni i media ci sbattono in faccia senza pudore le morti che fanno audience, vale a dire quelle dei personaggi famosi oppure quelle che offrono casi di cronaca nera in grado di scatenare i più bassi istinti del cittadino. In questi casi non si lesinano particolari piccanti o macabri, pur di tenere incollato lo spettatore fino alla prossima puntata, quasi si trattasse di una serie tv.

DUE PELLICOLE DAL SAPORE “ANTICO”

Invece voglio portare, come perfetti esempi di come il lutto sia stato trattato con garbo e rispetto, due film così diversi e pure così identici nel farci emozionare, commuovere ed anche sorridere su un avvenimento luttuoso.

Il primo è “L’uomo che uccise Liberty Valance”, splendida pellicola western in bianco e nero di John Ford del 1962, che ci mostra il funerale di Tom Doniphon (John Wayne), con al capezzale il suo vecchio amico Ransom Stoddard (James Stewart). La triste e solitaria fine dell’uomo ci viene solo accennata, mentre i suoi pochi amici al capezzale ne ricordano la persona e, anche quando viene aperta la bara, il regista non ci mostra mai il suo viso, preferendo l’immagine di un fiore che lo accompagnerà nel suo ultimo viaggio.

Il secondo è invece “Il grande Lebowski”, geniale commedia del 1998 di Joel & Ethan Coen. Il film si conclude con lo spargimento delle ceneri del povero Donny (Steve Buscemi), da parte degli amici Drugo (Jeff Bridges) e Walter (John Goodman). Prima all’agenzia funebre e poi alla scogliera sul mare il tono è farsesco, salvo poi sciogliersi in un abbraccio e pianto liberatorio tra i due amici in un’immagine poetica e toccante al tempo stesso.

Ed è forse proprio così che una società sana dovrebbe affrontare ancora il lutto, per trovare una dimensione che ne accetti l’esistenza, senza però trasformarla in uno spettacolo ad uso e consumo delle masse.

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