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Lo spirito della storia e i senz’anima

| Gianluca Kamal |

di Valerio Savioli

Così capita di assistere all’imponderabile e all’impensabile. Una guerra vera soppianta la retorica stantia e si veste di reale nella storia che preponderante e imprevedibile irrompe nel nostro presente. Ma l’uomo dell’oggi ha digerito le sue ossa, il tubo digerente è uno schermo sempre acceso e un telecomando che funziona al contrario, ossia che impartisce ordini senza riceverne. Le piazze si possono riempire quando si devono riempire, gli assembramenti non sono potenzialmente contagiosi se si travestono del blu del cielo e del giallo del sole, i morti si devono piangere solo quando si devono piangere, la violenza va rifiutata a patto che la scelta sia selettiva, la discriminazione anche. Se solo si potesse decidere chi ha dignità di vivere e chi no. Dialogo, discorso e pensiero, tutti a sapore unico, sono gli strati della civiltà dell’hamburger. Deglutisciti per sopravvivere secondo ciò che è impartito. “Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive.” Questo sosteneva Dostoevskij. Ma gli occhi sono ormai cuciti sulle orecchie. Il tempo di cottura deve raggiungere l’evaporazione rituale nel delitto spirituale e nel castigo esistenziale.


I demoni indicano la strada. Forse l’algoritmo è già dentro di noi, anzi noi stessi siamo l’algoritmo: incubati presso i principali distretti coartanti ripetiamo, blateranti, solo ciò che ha senso non per noi.
L’autolesionismo è una pratica intenzionale, il sonnambulismo dell’essere è l’esito del lavaggio del carattere applicato scientificamente sulle anime morte, all’ombra delle notti bianche. Orwell ammoniva sul bipensiero, povero dilettante ottimista! Non aveva previsto il metapensiero che, come il metaverso, procede oltre. Il nulla.


“Se Dio non esiste, allora tutto è permesso.” Tutto è quindi nulla con strati di niente, soprattutto se si tratta di un corso universitario, prima bandito poi nuovamente concesso. Ma allora perché non incendiare libri, anime e parole? Forse perché non è più necessario farlo, perché escludere brucia più che vietare.
Il rogo siamo noi. Usciti dalla storia mentre questa ci si para davanti famelica di carne e sangue, non abbiamo né l’una, né l’altra da offrire. Se quindi, come sosteneva Dostoevskij, “è nella separazione che si sente e si capisce la forza con cui si ama”, non si può non avvertire questa separazione, fatta di pretese di pubblico ripudio e abiura, come una lacerazione insanabile, non si può non capire la forza con cui si deve odiare ciò che pretende la nostra negazione.

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