L’Occidente e la congiura del silenzio
RAFAH
Indigniamoci per Rafah. Non solo per il sangue versato da civili, donne, bambini, o per gli obiettivi colpiti per “un tragico incidente”, facciamolo per ogni giorno vissuto dai palestinesi nella Striscia di Gaza, per quelle vite spezzate di continuo, mentre il mondo si volta dall’altra parte. Dal 7 ottobre 2023 ad oggi, sono oltre 36.000 i morti palestinesi e sono più di 81.000 i feriti, ma nessuno muove un dito in modo concreto e significativo per fermare questo massacro. Le prime indignazioni occidentali si fanno sentire solo ora, dopo troppi mesi di silenzio, o peggio, di tolleranza della politica militare israeliana, dopo troppo sangue versato e un milione di palestinesi letteralmente in fuga da Gaza, ossia da casa loro. Pare strano, ma forse no, che tutti i campanelli d’allarme lanciati dalle Nazioni Unite, da associazioni di volontariato internazionale, dalle immagini diffuse sul web dai giornalisti presenti a Gaza, siano rimasti inascoltati.
“SULL’ORLO DELLA FOSSA SEDUTO”
Tutto questo ci deve indignare perchè, forse, questo occidente senza linfa poteva e doveva intervenire per limitare questi tragici risultati, nel tentativo, in fondo inutile e anche un pò patetico, di salvare in primis la propria faccia. Doveva intervenire per gli ospedali venuti giù, per gli aiuti umanitari non pervenuti in un lembo di terra nel quale si muore anche di fame. E’ accaduto invece che della “sacra pugna” per la difesa dei diritti dei più deboli non sia rimasto altro che un melmoso ammasso di slogan.
E’ evidente, lo sappiamo, che i palestinesi non rappresentino certo per l’Occidente liberal-democratico una buona ragione per scomodarsi, preferendo rimanere a guardare “sull’orlo della fossa seduto”. La Palestina è la guerra di sempre, il conflitto che fa capolino, distrattamente alle volte, sui quotidiani europei, ma che mai riesce a colpire in modo significativo le coscienze dei nostri governi. Questo fiume di sangue si alimenta di generazione in generazione, dagli occhi dei padri che videro i propri territori invasi, fino a quelli dei figli che vedono i padri cadere per difendere il proprio diritto a esistere in un determinato luogo. Gaza, dopo oltre 60 anni di conflitti, è ancora sinonimo di morte, ma anche di forza, coraggio e dignità. Altrove, dove i paesi non sono dei grandi bancomat da cui attingere, poco importa se vengono bombardati ospedali o non ci siano le condizioni minime per far vivere un bambino o ancor prima farlo nascere. Questo succede a Gaza, a una settimana dalla tornata elettorale che “rinnoverà” (forse nelle rappresentanze, non certo negli equilibri) il Parlamento di quel gigante argilloso e inconsistente chiamato Unione Europea.
L’EUROPA CHE NON C’E’
In questo balletto macabro di conflitti perenni e dinamiche geopolitiche in incessante e alquanto confuso mutamento, nulla di rivoluzionario nell’accorgersi dell’assenza completa dell’Unione Europea, ventre molle di quell’anglosfera il cui battesimo ideale e culturale lo si deve a William Shakespeare il quale rielaborò la storia creando miti e linguaggi divenuti il cemento del mondo anglosassone. Cos’aspettarsi, del resto, da un sistema riuscito nella mirabolante impresa di impoverire famiglie, individui e mondo del lavoro per mandato di terzi, come possiamo notare nel caso del conflitto russo-ucraino. Faremmo prima a sperare in una reiterata assenza dalla scena di questa Europa, viste le “prodezze” registrate ogni qualvolta dalle parti di Bruxelles e Strasburgo inizi a muoversi foglia.
L’unica indignazione da tenere alta e forte, più ancora che per Rafah, Gaza e altri teatri dell’orrore contemporaneo, è quella nei confronti dell’ambiguità di un sistema politico orfano di carattere e sovranità, che vive in balia di interessi economici e politici per conto di altri, che hanno sovrastato ogni scintilla di civiltà propria del vecchio continente. Fino a quando questo stato di cose non cambierà, la “piccola e inutile” Rafah si rivelerà solo una delle situazioni in cui si poteva intervenire prima ma non lo si è fatto. Ancora una volta. Perché il sonno europeo genera mostri.
Classe 1992, da sempre appassionato di lettura e scrittura. Da alcuni anni collabora con diverse riviste, cartacee e online, occupandosi dei più svariati ambiti: dallo sport, all’attualità, passando per eventi politici nazionali, fino a temi pertinenti alla terra in cui è nato e vive, la Calabria. Scrive per Pensiero Verticale da diversi anni, credendo fermamente nella direzione intrapresa dalla redazione, volta a rappresentare uno spazio di pensiero libero e confronto, contrapposto all’omologazione culturale del mondo contemporaneo.