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L’urlo che squarcia

| Gianluca Kamal |

Immenso, smisurato, che pare sfidare i mille rumori di cui una metropoli (quella Milano che “non si accorge o forse fa finta di niente”, come cantano i DDT) vive e si nutre. Ogni anno quell’urlo sembra più forte, liberatorio. Si leva dalle laringi di centinaia di persone, militanti in maggioranza ma anche di chi la lotta politica ha ormai abbandonata da tempo, che volta dopo volta paiono essersi moltiplicate di numero. Librare al cielo ormai buio della notte quel “Presente!”, ripetuto tre volte, suona sempre più non solo come richiamo di quel vincolo sacro che unisce i vivi ai morti congiungendoli nella vitalità della fede, non più come grido di lotta che dal ricordo dei caduti porta alla riaffermazione delle ragioni ideali che muovono la battaglia dell’oggi. Non più e non solamente tutto ciò. E’ cresciuto vertiginosamente il bisogno, con quell’urlo, di proclamare con vigore e forza inauditi la propria stessa esistenza, come uomini eredi a vario titolo di una storia differente, come portatori di una visione, della vita prima che del mondo, sghignazzata e schifata dai detentori del Bene e del Giusto.

Vi è un antifascismo che, complice l’insediamento ancora fresco di un governo di colore avverso, pare aver fatto i conti con certi scrupoli morali che ultimamente avevano frenato i suoi esponenti più noti preferendo toni e accenti magari più “digeribili” e istituzionali. Pare che oggi il rispolvero di parole d’ordine, metodi di lotta e propositi d’azione del tempo insanguinato che fu (gli anni’ 70 e ’80) non trovi più ostacoli sul proprio cammino di avvelenamento della società. Una società mai come in questo frangente storico più votata all’odio e alla divisione, sfibrata da un triennio di compressione liberticida, insterilita nella sua linfa da ben precisi piani di sottomissione a logiche che non ne prevedono un futuro certo.

Si sono uditi dopo tanto frasi, uscite pubbliche, allusioni che non si credevano giammai sepolte, ma che certo non ci si aspettava riproposte con questa violenza, nella cornice complessiva di quel clima, già famigliare, di diffusa impunità e silenzioso consenso di conduttori televisivi e grandi manovratori del grande circus mediatico. E’ l’essenza stessa di questa Repubblica. E’ il motivo fondante della sua legittimazione storica e politica traente nutrimento da una logica di contrapposizione riproposta senza soluzione di continuità. Senza le lenti dell’antifascismo non vi può essere possibilità di lettura del grande libro nazionale “nato dalla Resistenza”.

E allora quella lunga teorìa di donne e uomini, ragazze e ragazzi, inquadrati secondo lo stile della marzialità più composta e rigorosa, che con una fiaccola in mano percorre le strade di una Milano che attonita assiste dai balconi e dalle finestre, pare la risposta più efficace alle strilla, agli strepiti, agli schiamazzi di quell’altra umanità percorsa dall’isteria dell’odio senza freni. E allora quell’urlo vibrato dinanzi a quella lapide e a quella scritta che innocente rivolge ad ogni alba e ad ogni tramonto il saluto di un’intera comunità ad un “eterno ragazzo” cui non è stato dato il diritto di invecchiare, diviene il più romantico e ardente dei messaggi d’amore lanciati contro l’odio e le tenebre oscure. Per continuare ad esistere. Urlando contro il cielo.

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