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NATO, EUROPA, RUSSIA. Ieri, oggi. (parte II)

| Redazione |

a cura di Valerio Savioli (Identità Europea)

LE RADICI DEL CONTENDERE

In Ucraina l’elezione di Viktor Yanukovich ((Yanukovich verrà poi, per una seconda volta dopo il 2004, rovesciato definitivamente nel 2014, con pesanti influenze occidentali)) nel 2010, il quale vinse con un piccolo scarto e che dimostrava plasticamente la forte divisione interna al paese, fu un premier che tentò di promuovere forme di integrazione economica e commerciale tra il sistema ucraino e quello russo e altri paesi del CSI.

Nel 2012 l’Ucraina firmò con l’UE un accordo (Deep and Comprehensive Free Trade Agreement ((Secondo lo storico Paolo Borgognone, il DCFTA “serviva dunque come cavallo di Troia per introdurre, tramite l’adesione di Kiev alla zona di libero commercio con la Ue, la Nato in Ucraina” cfr. P.Borgognone, Goodbye Globalism, il Cerchio, 2021)) ) che prevedeva l’adesione di Kiev a un trattato di libero commercio con i Paesi europei e che instradava di fatto il paese verso la sfera di influenza occidentale e con tutte le conseguenze, anche geopolitiche, come il possibile ingresso nella Nato, ed economiche come l’integrazione sempre più invasiva di un sistema liberista ((Le condizioni per accedere al DCFTA erano particolarmente severe sotto il piano economico e sociale, prevedendo un prestito del FMI cui avrebbero fatto seguito grandi tagli di bilancio e un aumento del 40% delle bollette del gas)).

L’Ucraina era stato fino al 2013 un paese che aveva vissuto il compromesso tra oligarchi e proletari, barcamenandosi tra la Russia e l’UE. Il giorno stesso in cui il governo ucraino decise di non aderire al DCFTA “la folla, sobillata da Radio Free Europe, scende in piazza a Kiev per protestare” ((F. Bovo, M. Greco, A. Lattanzio, Battaglia per il Donbass, Anteo Edizioni, Cavriago, 2014)). Le proteste di piazza Maidan proseguirono ingrandendosi a dismisura ((Il golpe di Piazza Maidan costò la vita a 23 agenti ucraini di pubblica sicurezza, uccisi dai rivoltosi, e il ferimento di 932 poliziotti)), fino a degenerare dopo la dichiarazione di Yanukovich di accettazione di un lauto prestito offerto dalla Russia all’economia ucraina.

Il 21 febbraio 2014, un giorno dopo la strage di Via dell’Istituto ad opera di alcuni cecchini ((I cecchini poi si rivelarono poi “contractors georgiani […] che in quell’occasione furono assoldati da un membro del governo americano […] con lo scopo di produrre il più alto numero di vittime possibili” Cfr. Y. Colombo, Kiev 2014: chi sparò a Maidan?. Il Manifesto, 15 febbraio 2018)) appostati sui tetti dell’Hotel Ucraina e del Conservatorio di Kiev, un patto tra governo e opposizione portava alle elezioni anticipate entro l’anno, tuttavia, la tensione crebbe però a tal punto che lo stesso Yanukovich fu costretto alla fuga. In merito alle sommosse di piazza si è poi parlato delle forti influenze occidentali, capaci di veicolari enormi flussi di denaro a sostegno delle rivolte di piazza ((https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/10/ucraina-come-si-fa-un-golpe-moderno/907785/)).

Piazza Maidan, la piazza centrale di Kiev, culla delle proteste antirusse del 2013-2014

Il primo provvedimento del governo ad interim appena insediato fu quello relativo alla soppressione della lingua russa in tutto il paese. In quelle ore concitate e legate all’insediamento di quello che definito da G. Mettan: “il frutto di un putsch [a Kiev di matrice occidentale, ndr] e di un tradimento ((G. Metan, Russofobia. Mille anni di diffidenza. Introduzione di F. Cardini, Sandro Teti Editore, Roma, 2016)), la Crimea lasciò l’Ucraina per tornare alla Russia. In seguito all’intervento diretto delle forze armate russe venne tenuto un referendum sull’autodeterminazione della penisola dove vinse il “sì” al 95%, formalizzando ufficialmente l’adesione alla Russia.

Il noto giornalista e inviato di guerra de Il Giornale, Gian Micalessin, commenta così in un esaustivo articolo le ragioni dell’intervento di Putin:

Uno scacco matto al più abile giocatore di scacchi della scena internazionale. Dietro il tentativo di Stati Uniti ed Unione Europea di scippare a Vladimir Putin il controllo sull’Ucraina si celava quest’azzardo. L’azzardo prende il via lo scorso autunno quando l’Unione Europea cerca di far firmare all’allora presidente ucraino Viktor Yanukovich un accordo di libero scambio. Dietro quell’accordo si celano intese economiche, politiche e strategiche che puntano, di fatto, a ridimensionare l’influenza internazionaledella Russia e spostare verso oriente il raggio d’influenza dell’Alleanza Atlantica. Un tentativo davanti al quale un giocatore di scacchi come Putin non può fare a meno di reagire((https://www.ilgiornale.it/news/politica/ecco-i-dieci-motivi-che-danno-ragione-zar-putin-1048406.html))

L’intervento russo in Crimea comportò l’applicazione, da parte dell’Occidente, di sanzioni economiche.

Il 2 maggio 2014 fu il giorno della strage di Odessa e fu una di quelle date che sarebbero rimaste nella memoria dei russi e del presidente Putin, il quale la ricordò di recente in un suo discorso pubblico: quel giorno alcuni manifestanti filorussi sostenitori dell’indipendenza del Donbass, trovarono rifugio presso la Casa dei Sindacati, alla quale fu appiccato un incendio dai nazionalisti ((Citando un estratto di P. Borgognone nell’analisi dei disordini di Euromaidan e successivi: “I ribelli si fanno forti del supporto delle ONG, degli USA, della UE e di altri Paesi, rappresentanti sul campo, tra gli altri, da Bernard Henry Levy e da John McCain. Guidati dai nazionalisti di Svoboda e Pravy Sektor i rivoltosi cominciarono a uccidere i poliziotti”, Goodbye Globalism, il Cerchio, Rimini, 2021)) ucraini e fu impedito ai manifestanti di uscire. 48 persone trovarono la morte.

CONSEGUENZE: LA CRISI DEL DONBASS

In Ucraina orientale, dove è predominante la componente russofona, scoppiarono disordini e rivolte che portarono ad un vero e proprio conflitto, da alcuni analisti definito “a bassa intensità”. Anche in quest’occasione fu indetto un referendum ((Referendum che non fu riconosciuto dall’Ucraina)) che portò all’indipendenza delle regioni in rivolta.

Il Protocollo di Minsk (5 settembre 2014) e Minsk II (11 febbraio 2015) segnano un passo fondamentale verso una maggiore e ampia autonomia delle cosiddette zone separatiste, oltre che una distensione, sebbene mai rispettata del tutto, del conflitto che si stima abbia causato, in questi anni, circa venticinquemilamorti tra civili e militari russi, ai quali va aggiunto più di un milione e mezzo di civili sfollati e cinquemila soldati ucraini caduti.

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