Quel labile confine tra vita e non vita
In queste ultime settimane il dibattito relativo al tema dell’aborto si è acceso come conseguenza ai fatti statunitensi. Ci sono molteplici punti di vista da cui può essere affrontato: giuridico, medico, teologico, culturale, ma anche etico, inteso come relativo all’etica della vita, in ambito filosofico.
In tal senso, i concetti cardine da cui si può partire sono il tema della volontà e quello dell’essere in potenza. Volontà intesa come capacità cognitiva del “volere”, in questo caso, vivere. La vita di ogni essere umano è guidata dalla volontà, compiamo ogni giorno scelte che definiscono chi siamo, come viviamo, cosa facciamo e quando, nonostante la nostra volontà (di essere, di fare..), la realtà prende una piega non coerente con ciò che desideriamo, ci ritroviamo ad essere sconfortati, infelici, e i più volitivi (o fortunati) tornano sulla strada della volontà e perseguono ciò che per loro, de facto, è il senso della vita. Nel sistema umano di credenze, quindi, ciò che definisce le nostre azioni è la volontà che noi poniamo in essere. Quando qualcuno (o qualcosa) sceglie per noi, contro la nostra volontà o anche, senza tener conto della nostra volontà, riconosciamo immediatamente l’affronto, il mancato rispetto, la costrizione. Se il senso di volontà è intrinseco nell’esistenza umana, è bene chiedersi, quando si può dire che nasca il senso della volontà? Quando, per davvero, diventiamo umani? E dove inizia l’umanità?
È importante quindi definire il concetto di “essere in potenza”. Ciò che la scienza ci dice è che la gravidanza umana dura circa 40 settimane, e che il primo giorno di gravidanza viene posto convenzionalmente al primo giorno dall’ultima mestruazione. Successivamente la gravidanza viene divisa in diverse fasi, ma quel che succede essenzialmente è che le cellule aumentano, duplicano di giorno in giorno, partendo da una e arrivando ad un bambino, il quale ad un certo punto, non si sa precisamente quando, uscirà dal grembo materno. Si evidenzia chiaramente che la maternità ha per sua natura una labilità intrinseca, come del resto la vita (quando comincia precisamente l’adolescenza? quando la vecchiaia? In quale giorno, esattamente, io sarò adulto?): i tempi sono posti solo, appunto, convenzionalmente e tutto accade solo ed esattamente quando deve accadere. Se i tempi non sono definiti, non esiste un netto limite tra la vita e la non vita (come vale invece per la morte, intesa come decesso totale), perciò tutto ciò che è prima è solo un dopo in potenza.
Anche il concetto di volontà, inserito all’interno dei costrutti cognitivi, segue gli stessi tempi: in potenza, appena avvenuto il concepimento, è un essere umano che esprime la sua volontà poiché, non si sa esattamente quando, inizierà prima o poi ad esprimerla. Sulla stessa stregua quindi, ciò che sarebbe indispensabile sapere è quale sia la volontà al concepimento dell’essere in potenza rispetto alla vita: vuoi, o non vuoi vivere?
Non possiamo rispondere. Non possiamo rispondere perché non abbiamo alcuna possibilità al momento (ma solo al momento) di chiederlo. Non può (ancora) risponderci. Esattamente come non può risponderci il bambino, appena uscito dal grembo materno. Perché la sua volontà rispetto alla vita, prenderà coscienza solo quando crescerà e i suoi costrutti cognitivi, mediati dalla cultura, dalla società in cui vivrà, dalle esperienze, prenderanno forma. Arriverà al punto in cui, intorno ai 10 anni (forse?), presumibilmente non si butterà dal balcone perché non vorrà morire. Ma fino ad allora, o forse prima, o forse dopo, sarà solo un essere umano con, in potenza, il senso della volontà, che non sappiamo ancora se, di vivere o morire, e nessun lettore, nemmeno il più radicale degli abortisti, permetterebbe mai l’infanticidio di un bambino di 3 anni.
Dobbiamo solo chiederci, a questo punto, se abbiamo il diritto di togliere la vita a qualcun altro, e non è detto che non sia così. Se qualcuno fosse in procinto di uccidere la persona a voi più cara al mondo, voi la ammazzereste prima che possa farlo? Si potrebbe rispondere che si possa togliere la vita di qualcun altro per difesa, ma dove inizia la protezione per se stessi/per le persone che si amano, e dove inizia l’omicidio? Ci sono vite che valgono meno e altre di più? La mia vita, in fondo, vale di più di quella del mio assassino, dalla quale mi sono difeso colpendolo a morte, solo perché ha cercato di uccidermi?
A queste domande si potrebbe rispondere con altre domande, ma ciò che rimane fermo, è che tutto ciò che oggi è, fino ad un attimo prima (ma non possiamo dire quando) era in potenza di essere. Dobbiamo solo decidere se abbiamo no il diritto di uccidere, piuttosto che di abortire.
Classe 1993 e boomers per scelta (non cercatela su Instagram, non c’è). Laureata in Filosofia con una tesi su la Repubblica di Platone, si ritrova da neolaureata vittima del sistema capitalista (che pensava di poter combattere dai banchi dell’università); dapprima nell’ovvio call center a 5€/ora per poi piombare prevedibilmente in una multinazionale americana nella quale ci sguazza e ci sta bene perché, in fondo, è meglio quando la cultura non dà da mangiare.
Conservatrice per alcuni, Compagna per altri, Rossobruna per gli amici.
Tante virgole e poche cose importanti: per Pensiero Verticale qualche riflessione d’attualità e altra monnezza, con un po’ di stile.