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Quello che delle donne non si dice

| Redazione |

Questo articolo è stato ideato e composto da emmebi

Se poche donne ancora oggi in Italia scelgono di iscriversi alle facoltà di ambito scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico (indicati con l’acronimo inglese STEM) è prima di tutto a causa di ciò che viene detto loro, implicitamente e non, dalla società. Il primo freno è rappresentato da profondi stereotipi culturali e pregiudizi di genere, espressione di una società che continua ad essere fondata, più o meno esplicitamente, su un’ideologia fortemente patriarcale. Questo in sintesi il messaggio che da alcuni mesi viene veicolato nelle scuole italiane per ridurre il gender gap. E, privo di dati reali, c’è da crederci. Anzi no. Perché se ci soffermiamo sull’accusa principale, la società patriarcale appunto, è sufficiente guardare a est. Là dove non sembrano aver voglia di pensionare l’aggettivo patriarcale. Alludiamo all’Iran dove il 60% degli iscritti alle università sono donne (in Italia solo il 55%) e dove si “producono” il terzo maggior numero di ingegneri al mondo. Che, strabiliante ma vero, sono al 70% donne.

Quindi in pratica il maschilismo iraniano riesce laddove fallisce quello italiano. Sempre che sia credibile il copione, così proposto dal mainstream, di un Paese dove i padri vietino alle figlie di scegliere facoltà scientifiche ma al contempo ne promuovano gli studi universitari. Perché in Italia, culla del tanto vituperato patriarcato, le ragazze arrivando a sfiorare il 59% del totale dei laureati. E allora? Cosa si nasconde dietro a questa campagna per ridurre il gender gap? Cerchiamo di analizzare uno degli ambiti lavorativi a cui si accede attraverso il termine STEM ovvero quello della ricerca farmaceutica. Qui la presenza femminile, secondo i dati di Farmindustria, raggiunge il 43% dei ruoli di primissimo piano e il 53% degli addetti alla ricerca. Wow! Poi però si scopre che il divario salariale tra uomini e donne è più marcato rispetto agli altri ambiti lavorativi con un saldo 15% secondo l’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica.

Peggio fa un altro settore STEM ovvero quello delle Tecnologie Itc con una percentuale del 25%. Quindi più se ne laureano e si assumono meno incide sul fatturato il costo del personale. La vicenda assume fosche tinte se si pensa che le manager di alcune tra le più importanti multinazionali farmaceutiche (come Pfizer, MSD, BMS) sono donne. Donne a cui evidentemente della parità salariale delle altre non interessa. Né potrebbe essere diversamente a meno di passare per ingenui. Nascosti dietro campagne di propaganda ben orchestrate, gli autori del modello economico predatorio industrializzato e globalizzato stanno cercando di venderci le loro soluzioni ad un falso problema. Il capirlo è la parte più difficile.

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