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Seppuku come vita, morte come rinascita

| Redazione |

di Cristina Di Giorgi

La parabola letteraria di uno dei più grandi esponenti della cultura nipponica, tracciata tenendo conto dell’indissolubile legame della stessa con il percorso esistenziale del protagonista. E’ questo, in estrema sintesi, il filo conduttore del lavoro di Daniela Errico, intitolato “Mishima Yukio, o l’estetica della morte” e pubblicato nel 2020 dalla casa editrice Il Cerchio. Un lavoro estremamente fruibile sia da lettori che già conoscono la vita e gli scritti di Mishima, sia da coloro che, essendone affascinati, vi si accostano per la prima volta.
La Errico – che ha studiato a livello accademico lingue e culture orientali con particolare riferimento al Giappone – propone un volume tanto dettagliato quanto di facile lettura, che grazie ad una sintetica analisi anche contenutistica delle opere di Kimitake Hiraoke (questo il nome, all’anagrafe, di Mishima), aiuta a capire, sviscerandolo, il suo rapporto particolare ed intenso con l’idea della morte, radicata nei valori tradizionali del Giappone e strettamente connessa – per quanto tale elemento possa per un occidentale sembrare contraddittorio – con il suo opposto. Ovvero con la vita.


Mishima Yukio, o l’estetica della morte, come precisato nella scheda editoriale, “nasce nel tentativo di comprendere le dinamiche che hanno spinto il celebre scrittore a mettere in atto nel 1970 l’antico rituale del seppuku, il suicidio dei samurai”, compiuto da Mishima con lo scopo dichiarato di suscitare nei militari nipponici la volontà di sollevarsi contro la decadenza spirituale e morale che il Paese stava vivendo negli anni successivi alla Seconda Guerra mondiale. L’episodio del seppuku di Mishima, consumatosi peraltro in diretta televisiva di fronte al mondo, suscitò all’epoca molto scalpore ed è ancora oggi oggetto di analisi e considerazioni sia sull’interpretazione dello stesso sia, soprattutto, sulle motivazioni che spinsero il genio del Sol Levante a metterlo in atto.


Partendo da quest’ultimo elemento, la Errico nel suo libro ha ripercorso come accennato le opere di Mishima, evidenziando la maturazione anche letteraria delle convinzioni che lo indussero all’estremo gesto: “in gran parte della produzione dell’autore – sottolinea infatti – emerge un forte legame con il concetto di morte, plasmato nel proprio gusto estetico e reso il punto cardine della propria vita”. Ecco allora che pagina dopo pagina Errico traccia l’evoluzione personale ed artistica di Mishima, raccontando della sua infanzia non esattamente facile; delle sue prime opere, dell’esperienza – fondamentale – del vuoto inteso non in negativo ma in positivo come motore dell’azione; dei temi della bellezza, della ricerca della verità, della giovinezza, della gloria; dell’importanza del corpo come elemento fondamentale nella percezione della realtà. E ancora: dell’apprezzamento di Mishima per l’Hagakure di Yamamoto Tsunetomo (raccolta di aforismi che sintetizzano lo spirito della Via del Guerriero dei samurai); del dualismo tra la Via della penna e quella della Spada (ovvero la dicotomia tra intelletto e azione, che il genio nipponico ha inteso per tutta la vita comporre); del fervente nazionalismo di Mishima e della sua identità, mirabilmente da lui espressa nel saggio Sole e acciaio, considerato il suo testamento spirituale.


Tutto questo, spiega l’autrice, si condensa e conclude nella decisione di praticare il seppuku, con il quale “Mishima mise in atto quella che egli considerava la fine più adeguata a far sì che si adempisse il suo ideale estetico” scrive Errico. Che aggiunge: “la scelta di questa fine risiede nel significato stesso della parola. Il seppuku è una dimostrazione di sincerità ed onestà. Chi compie questo gesto è consapevole di andare incontro ad una morte cruenta, ma è anche consapevole di poter attestare con essa il proprio coraggio”. E anche, nel caso di Mishima, il proprio profondissimo amore per il Giappone e per i suoi valori tradizionali, ai quali anche con un gesto tanto estremo ha inteso rendere eterno omaggio.

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