Tyson e lo sport che diventa wrestling
Avevo già trattato il fatto di come la politica, a partire dagli Stati Uniti, si fosse pian piano trasformata in uno spettacolo di wrestling ed infatti il WWE Hall of Famer Donald Trump, supportato da Hulk Hogan, come avevo ampiamente previsto è diventato Presidente per la seconda volta.
In realtà però è tutta la società ad essersi trasformata da tempo in uno spettacolo di wrestling! E sapete perché? Da appassionato ed addetto ai lavori di questo sport spettacolo la risposta è più semplice di quanto si possa credere: il wrestling professionistico, nel suo essere una via di mezzo tra sport e spettacolo di intrattenimento, con i suoi incontri dagli esiti predeterminati, consente di venire incontro alle esigenze del pubblico, cercando di non scontentarlo e di assecondare i bisogni delle persone, bisogni che, per chi tira le fila, si concretizzano in più soldi.
Ecco allora che anche lo sport sta prendendo sempre più spunto dal wrestling, ma ahi noi, ciò non è certamente una buona notizia. Del resto cosa è stato se non una grossa e pacchiana imitazione di WrestleMania l’incontro di boxe tra Jake Paul e Mike Tyson? A tutti noi piace credere che il tempo sia un mero numero ed in questo siamo ingannati dai film, nei quali spesso gente in età pensionabile compie gesti che nemmeno a vent’anni sarei riuscito a fare! Ma i film sono i film e la realtà (e lo sport) sono ben altra cosa: pensare che un quasi sessantenne potesse sconfiggere un pugile professionista (se pur modesto) di oltre trent’anni più giovane, equivale a credere che Francesco Totti possa tornare a giocare in Serie A (ed infatti hanno già provato a mettere in giro la voce…). Ma alla fine il business è il business: oltre 70 mila spettatori hanno assistito all’evento dal vivo a Dallas e milioni di persone nel mondo si sono collegate su Netflix per assistere ad un qualcosa di imbarazzante, che però sicuramente ha reso felici i conti in banca di entrambi i contendenti.
Ed ora pure in Italia sta per sbarcare la Kings League, baracconata di calcio a sette tra influencer (poteva mancare Fedez?) e vecchie glorie, che cercano di rendere appetibile il calcio alla Generazione Z che sembra snobbarlo sempre di più. Ecco quindi che vedremo pure da noi calciatori indossare maschere da luchadores messicani ed altre amenità simili.
Da fanatico di wrestling faccio un appello, temo destinato a cadere nel vuoto: lasciamo per favore i due ambiti ben separati. Che lo sport resti sport, con la sua dolorosa ed educativa imprevedibilità e, perché no, anche crudeltà. Se per millenni ha funzionato benissimo, c’è davvero bisogno di trasformarlo così radicalmente? A che prezzo?
Nato nel 1975 a Brescia, è cresciuto tra Bergamo e Milano prima di appendere il cappello a Verona. Ama il calcio, il wrestling, il golf ed il cricket. Oltre alle sottoculture un tempo giovanili.
Scrive per professione e fa il dj per passione.
Collabora con Il Primato Nazionale e Tuttowrestling. È autore del libro Vivere Casualmente.
Crede che non ci sia un domani ma è pronto ad essere smentito.