Una terra e una fede sotto attacco. Presidio UVNS a Milano
Un lungo striscione (“Artsack: terra strappata dalle radici di Cristo“) le bandiere tricolori e armene affratellate, per una sera, sotto il segno della difesa di un popolo portatore di antichi valori e tradizioni che paiono non poter più trovare posto (e voce) nella grigia e trista Europa dell’era dei sordi burocrati. Sotto le finestre del Consolato turco a Milano, mentre ragazze in tenuta da combattimento notturno scorrono rapide in direzione dei luoghi della movida di Corso Sempione a poche decine di metri di distanza, i volontari dell’Associazione Una Voce nel Silenzio e membri della comunità armena gridavano solidali il loro dissenso rispetto alle azioni di guerra condotte in questi giorni da parte di Azerbaigian e Turchia, che hanno sancito di fatto la fine della regione del Nagorno-Karaback come entità autonoma e l’imposizione di nuovo status quo in palese violazione degli accordi stipulati con Russia e altri partners internazionali.
“Una persecuzione che ha radici lontane“, come ricorda Francesco Baj, volontario di UVNS, “quando l’Impero Ottomano, tra il 1915 e il 1919, uccise circa un milione e mezzo di armeni sebbene ancor oggi la Turchia non riconosca il genocidio perpetrato. Nel 2020 l’Azerbaigian, spinto dalla Turchia, ha deciso di attaccare nuovamente la comunità armena nel Nagorno-Karaback, portando le due fazioni un’altra volta in guerra“.
“Pur avendo denunciato una situazione che, già sapevamo, avrebbe condotto all’ennesima strage di civili“, continua Baj, “nel dicembre 2022 centinaia di attivisti azeri hanno blocato il corridoio di Lachin, l’unica arteria che collega la Repubblica dell’Artsack con l’Armenia, impedendo in questo modo il transito di uomini, viveri, mezzi e medicinali. Quasi 120mila cittadini armeni sono rimasti di fatto isolati per nove mesi, fino a quando gli azeri, il 21 settembre di quest’anno, hanno portato un ultimo feroce attacco all’Armenia avviando una vera e propria pulizia etnica e religiosa“.
In questo come in tanti, troppi altri casi vi è l’interrogativo che da più parti risuona ormai al pari di una lacrimevole e patetica supplica da comara disperata: dov’è l’Europa? C’è ovviamente da chiederselo anche per la situazione armena e per un popolo ad un passo dalla scomparsa. Gli interessi economici, evidentemente non coincidenti con logiche e strategie già pianificate a suo tempo, sono forse più forti della giustizia? Perchè il silenzio anche da parte della Chiesa dinanzi alle chiese distrutte e a fedeli di Cristo dichiaratamente perseguitati per il loro credo?
“Per noi“, conclude Baj, “l’identità e la Tradizione millenaria armena non possono essere spazzate via da un esercito, ma continueranno a sopravvivere nel cuore di ogni ragazzo che oggi da quella terra decide che non sarà questo l’ultimo giorno per gli armeni e, sorretto dalla forza della croce, sceglie di portare avanti la propria lotta in difesa del suo popolo e della più autentica e genuina storia europea. Rimanere in piedi sopra le rovine: noi con loro elevando forte il nostro grido nell’assordante silenzio del mondo“.
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